Millennial e generation X sono categorie non omogenee

Marilde Motta07/11/2016

Baby boomer, generation X, Y, Z (più enigmatiche di un’incognita in un’equazione), millennial (che coincidono grossomodo con la generazione Y, detta anche “net generation”) sono etichette che contraddistinguono appunto le generazioni che si sono susseguite dal dopoguerra a oggi. In statistica questi “insiemi” di persone, che condividono una data di nascita, che coincide anche con grandi e significativi eventi, sono detti coorti. È solo da pochi decenni che la statistica (soprattutto in Usa) ha adottato questa modalità di suddivisione demografica, utilizzando anche termini suggestivi per connotarle, ovviamente non senza una forte critica sulla validità scientifica.
Va notato che l’idea di classificare le persone sotto l’ombrello di un evento dirompente, che le coinvolge e accomuna, è venuto a chi ha fatto della propaganda politica un sistema di comunicazione forte. In Italia, per esempio, abbiamo avuto i “Ragazzi del ‘99” e relativa retorica, ovvero quelli nati nel 1899 che hanno celebrato il loro diciottesimo compleanno nel 1917 sul fronte del Piave. Anche la letteratura ha coniato spesso neologismi riferiti a classi di età congiunte con eventi epocali, come la “lost generation” di Ernest Hemingway, ripresa anche da Francis Scott Fitzgerald, per indicare i giovani usciti dal primo conflitto mondiale, la “beat generation” così battezzata nel 1948 da Jack Kerouac, per poi sfociare nei “figli dei fiori”, gli hippy, degli anni ’70. Se per comodità di classificazione si è fatto ricorso a nomi metaforici ed evocativi, quando si tratta invece di fare un uso serio, per scopi conoscitivi, è meglio riportare l’attenzione sulla validità scientifica. Vi è infatti il pericolo che, affascinati da definizioni sorprendenti, si perda di vista il contenuto e la metodologia che devono accompagnare ogni autorevole ricerca in campo sociale.

Vi sono elementi culturali, per esempio legati a una singola nazione, fattori sociodemografici, e molti altri paramenti che mettono in evidenza quanto una coorte sia tutt’altro che omogenea e non sia in alcun modo raffrontabile con quella di un altro paese. I membri della coorte sono sì influenzati dall’ambiente esterno, sono esposti effettivamente a fenomeni di massa talvolta globali, ma ciascuno di essi ha una propria, talvolta drammaticamente propria, opportunità (per reddito, istruzione ecc.) di ricezione, fruizione, reazione, immedesimazione. Anche il recente studio del Censis sui “millennial” nostrani non è altro che uno studio su una classe di età (chi nel 2016 ha fra 18 e 34 anni) e sulla sua progressiva quanto inesorabile esiguità (11,1 milioni), rispetto alla massa degli over 35 (65,1% della popolazione). C’è da chiedersi perché continuare a usare espressioni così colorite, che rischiano di far passare in secondo piano il vero portato della ricerca e che ingenerano anche la falsa idea che sotto il nome di fantasia, affibbiato alla coorte, vi sia un blocco uniforme di persone?

Marilde Motta

Nella comunicazione dal 1978, in costante aggiornamento e approfondimento. Ho scelto le pubbliche relazioni come professione, dedicando attenzione a promozioni e direct marketing, su cui scrivo. Amo all’unisono il silenzio, i libri e i gatti. contatti@adpersonam.eu