The Sunset Place vive come luogo aperto

The Shops at Sunset Place è un destination-open-air shopping center situato nell’area di South Miami, là dove la Red Road interseca la Us1 (o South Dixie Highway). Potremmo dire che si tratta di una sorta di “araba fenice”, nata nel 1999 dal disastro finanziario di una precedente iniziativa immobiliare. Martin Margulies, un imprenditore piuttosto noto nel settore del real estate, ebbe l’idea, negli anni ’80, di edificare un complesso a uso misto (abitazioni, uffici e commercio) battezzandolo The Bakery Center. La sua inaugurazione, nel 1986, suscitò molto clamore, in particolare per le complesse soluzioni architettoniche che gli conferivano un aspetto labirintico. Ma il Bakery Center non decollò mai, il signor Margulies non riuscì a restituire il prestito di 24,5 milioni di dollari ottenuti da Flagler Federal Savings and Loan e contribuì al successivo fallimento della stessa banca. Il complesso venne allora svenduto per 11,2 milioni di dollari a Simon Property Group, il gigante immobiliare con sede a Indianapolis, che oggi possiede e gestisce gran parte dei centri commerciali di Miami e della Florida, oltre ad altre centinaia di mall.

Sunset Place (Miami - FL) 7372Ripartire da queste premesse, tuttavia, non appariva compito facile e, dopo una serie di valutazioni, prevalse una drastica decisione “all’americana”: demolire tutto e ricostruire ex novo sui 12 acri disponibili qualcosa di completamente diverso. Il progetto richiese oltre 200 milioni di dollari. Venne affidato allo studio newyorkese Ehrenkranz, Eckstut and Kuhn in collaborazione con quello di Wolfberg Alvarez. Iniziati nel 1996, i lavori terminarono il 22 gennaio 1999, il giorno del “grand opening” in piena stagione turistica. Una campagna pubblicitaria ben orchestrata fece affluire, nel weekend successivo all’inaugurazione, altri 200.000 visitatori incuriositi da un luogo così diverso rispetto al precedente e ai tradizionali enclosed shopping mall. Le scelte architettoniche inattese del Sunset Place certamente incuriosirono e sembrarono sconfiggere le previsioni più funeste. Ma solo quando cominciò ad essere frequentato regolarmente da una folla di giovani della vicina zona universitaria, che vi affluivano attraverso la vicina stazione della metropolitana, si comprese che le cose erano cambiate davvero.

The Shops at Sunset Place non è grande. Con la sua pianta trapezoidale, copre poco più di 50.000 mq e contiene 62 negozi e ristoranti disposti su tre livelli. L’immagine completa della sua struttura spaziale ne risulta però amplificata e definisce un unicum molto originale che potrebbe ispirare nuovi luoghi commerciali anche nelle nostre regioni mediterranee. Merita dunque di figurare nella nostra galleria di eccellenze.

Nascosto all’esterno da edifici piuttosto anonimi, tra cui un grande parcheggio a più piani da cui si accede direttamente al centro, il complesso si sviluppa lungo un unico percorso interno serpeggiante, caratterizzato da un doppio affaccio dei corridoi-balconate antistanti ai vari negozi. Luoghi deputati allo svolgimento delle funzioni commerciali e alle relazioni sociali al riparo dal caldo sole tropicale, queste balconate, assieme ai “ponti” che le congiungono, consentono di osservare gli spazi aperti dell’interno. Il percorso conduce infine a una corte molto graziosa, decorata con aiuole e palme di alto fusto, concepita dal designer Patrick McBride, che vi ha previsto anche effetti sonori per simulare, periodicamente, temporali tropicali.

I tratti morfologici della parte edificata assumono una molteplice funzione: strutturale, decorativa, simbolica e funzionale. Essi sono inoltre fusi da una scelta stilistica che scandalizza certamente i puristi nostrani, ma che ha confermato, in 15 anni di vita, l’indubbia tenuta del suo gradimento. In assenza di dichiarazioni esplicite sulle motivazioni architettoniche e stilistiche del Sunset Place, però, dovremo risalire autonomamente alla vena ispiratrice di tali criteri. Ne daremo peraltro un’interpretazione di carattere essenzialmente estetico e sociologico.

Un primo obiettivo progettuale sembra essere la realizzazione di un luogo aperto, ma in grado di risolvere il rapporto tra esterni e interni grazie a un gioco di vedute che cela e mostra, allo stesso tempo, i luoghi coperti o nascosti. Il secondo obiettivo è l’organizzazione concertata delle aree centrali scoperte, a terra, che anche dal basso permettono di osservare la sommità degli edifici e l’attività che si svolge ai livelli superiori. Il suo aspetto più caratterizzante è certamente la piazzetta della scalinata. La sua categoria estetica contempla una scenografia eclettica fatta di alcuni elementi fuori misura e di altri piuttosto eccentrici, per non dire eccessivi e bizzarri. Si tratta di apporti che tendono a privilegiare l’aspetto esteriore rispetto ai contenuti interiori che potrebbero apparire banali, data la ripetitività di insegne ben note e ormai onnipresenti. Ne consegue un ribaltamento del fine dichiarato di questo luogo: non si enfatizza l’acquisto delle merci, ma in primis l’incontro, la sosta, il ristoro, l’intrattenimento spensierato, così come potrebbe avvenire lungo la Ocean Drive a Miami Beach. Lo testimonia il fatto che, di sabato, gli spazi aperti sono dedicati a un farmer’s market che offre prodotti dell’agricoltura locale attirando sul luogo un proprio pubblico affezionato.

L’insolita peculiarità di questo centro commerciale è la presenza di una grande scalinata inserita coraggiosamente in spazi abbastanza ristretti. Essa funge da collegamento fra l’area più elevata dell’intrattenimento (che vede la presenza di un Imax Theatre di Amc 24) e il livello terra. Una coppia di scale supera il dislivello creato artificiosamente, unendosi poi in un solo scalone di forma convessa secondo un’evidente allusione alle scalinate barocche italiane. Dalla sommità è possibile allora osservare la piazzetta sottostante e salire con altre scale al terzo piano. Le prime due rampe sono separate da fontane a cascata collocate in posizione asimmetrica.

Il tributo a Trinità dei Monti è pertanto, all’occhio di un italiano, piuttosto esplicito e predispone a una scenografia basata sulla ripartizione irregolare dello spazio disponibile. Il significato della scala voluta dagli sviluppatori è insomma l’unitarietà che essa conferisce a tanti elementi asimmetrici ed eterogenei. Eliminando la cesura tra costruito e spazi aperti, la grande scala incoraggia la sosta, ma anche gli spostamenti all’interno di una cornice ottenuta con la sapiente strutturazione dello spazio e soluzioni prospettiche che riassumono le contraddizioni e le accolgono conferendo al tutto una propria indubbia unicità. Ne risulta un qualcosa in totale contrasto con la monotonia razionalista del paesaggio urbano di questa parte di Miami.

Il tentativo di ottenere spazi mossi e ricchi di scorci suggestivi, quasi teatrali, ha così trasformato gli edifici in una sorta di quinte scenografiche. In particolare, molto suggestiva è l’idea di completare la parte superiore del profilo della piazza principale con i grandi archi bianchi, antistanti l’entrata del cinema, per uno scopo puramente decorativo. Spettacolare è anche la struttura di aiuole sospese tra le colonne che s’innalzano sino al grande cerchio azzurro che le raccorda. In sintesi, l’insieme risponde a una interpretazione eclettica del Mediterranean Revival, tipico della Miami degli anni ’20-’30. Questo stile, a sua volta, era un’interpretazione altrettanto eclettica delle architetture italiane, spagnole e nordafricane che ben si adattava ai landscape della Florida e del South California. Portici, balconate con ringhiere in ferro, colonnine e archi a tutto tondo, ceramiche, aiuole fiorite e piante in vaso s’inserivano naturalmente negli ambienti caldi e solari e nel verde prorompente di questa città. Nella seconda corte alberata è inserita poi tra piccole fontane una scala mobile che sale al primo piano. Lo spazio che sovrasta le due rampe di accesso è segnato dall’enigmatica presenza di due grandi lucertole di acciaio che covano uova gigantesche: sono simboli portatori di un sovrappiù di significati da decifrare con un richiamo alle profondità junghiane di mondi primordiali.

The Sunset Place si distingue dal contorno in vetro-cemento circostante anche per la mazzetta-colori che scandisce i suoi diversi volumi. Le cromie sono morbide, ma non mancano le inserzioni violente del giallo e del rosso acceso di alcune strutture. A ciò si aggiunga il marrone e il verde vivo dei piccoli prati delle aiuole della Banyan Court che privilegiano gli andamenti sinuosi, mai semplici e a costruzione policentrica. Questo mélange cromatico trasferisce la percezione immediata del ricordo evocato da altri déjà-vu e luoghi esotici distanti dall’ordine geometrico della moderna downtown di Miami. Le grandi campiture rosa, azzurre, giallo pallido, lilla, ocra, bordate di bianco e interrotte da colonne e davanzali, evocano paesaggi caraibici e mediterranei nel loro aspetto diurno. Di sera il centro rivela un’estetica altrettanto affascinante con i suoi lampioni sparsi e il gioco di luci e di ombre dei suoi profili complicati e accarezzati dall’illuminazione dinamica.

The Shops at Sunset Place ospita ovviamente una sequenza di retailer di grande richiamo, tra cui American Eagle Outfitters, Armani Exchange, Banana Republic, Forever 21, Gap/Gap Kids, Hollister Co., It’ Sugar, Love Culture, The Disney Store, Victoria’s Secret, Urban Outfitters. La ristorazione è assicurata da Buffalo Wild Wings, Cool-De-Sac Play Cafe, Dinner Lounge, Panera Bread, Johnny Rockets, Color Me Mine e altre insegne ancora. Non si dimentichino infatti le sue finalità fondamentalmente commerciali. Eppure la sua storia così sorprendente dimostra come vendere (in ambienti altamente competitivi) non consiste semplicemente nell’esibire la merce e praticare prezzi accattivanti, ma nel conquistare in prima istanza il cuore e la mente dei propri potenziali clienti, grazie a una sensibilità che affonda in un sapere ben più vasto.

Alla concezione e alle ricerche necessarie per l’articolo ha contribuito Marco Tirelli

Daniele Tirelli