Il marketing non coglie le opportunità di un adeguato impiego dell’attenzione

Colpisce l’ingenuità con cui si guarda oggi alle nuove tecnologie e alle tecniche espositive senza troppo preoccuparsi della misurazione e della pesatura dell’attenzione che il consumatore finale presta alla molteplicità delle offerte a lui rivolte

Esiste un elemento condiviso che accomuna la diffusione di materiale pornografico alla vendita online di viaggi e vacanze, l’esposizione di prodotti vegani in un supermercato alla mostra delle opere di Raffaello, la visita al Colosseo al derby Milan-Inter. Questa specie di materia oscura che al pari della fisica dell’universo tiene legate assieme tutte le manifestazioni della nostra vita sociale e individuale è l’attenzione.

Che cosa sia realmente non si sa bene. È oggetto di un acceso dibattito e di molteplici teorie in campo medico-scientifico, ma in campo economico essa ha ricevuto ben poco interesse, nonostante l’attenzione rappresenti una componente del valore dell’oggetto cui è rivolta. Per spiegarci meglio, partiamo dalla constatazione che il progresso sociale e tecnologico spinge verso la dematerializzazione di molti prodotti ritenuti utili. Stanno sparendo fisicamente i libri, i cavi delle connessioni telefoniche, le buste e la carta da lettere, le casse e le cassiere dei supermercati, in certi casi anche i camerieri dei ristoranti; persino i ristoranti stessi, almeno durante le fasi acute del Covid-19, sostituiti dal cibo che abbiamo scelto di farci portare a casa.

L'attenzione
Tutte le manifestazioni della nostra vita sociale e individuale sono determinate dall’attenzione, tra cui le decisioni economiche e le prassi conseguenti.

In breve, viviamo in una società che consuma beni, ma che giorno dopo giorno li sostituisce con sempre maggiori servizi. Di conseguenza, dicono gli economisti meno conformisti, il vincolo invalicabile, come la velocità della luce in fisica, diventa il tempo: quello da dedicare al lavoro e a sé stessi, al divertimento e allo studio, alla cura della persona, agli spostamenti, agli affetti, al relax. Tutto indubitabile. Allo stesso modo, però, scopriamo che accanto alla fisicità limitata del tempo esiste un fattore “oscuro” chiamato attenzione, che gioca un ruolo fondamentale per ripartire l’utilizzo e la produttività del tempo disponibile. Questo insieme di processi cognitivi ci permette di reagire agli stimoli ambientali, di non finire schiacciati come i ricci sulla strada, di scegliere un partner con cui auspicabilmente accoppiarci, di prendere l’autobus giusto. Quel gran genio di Daniel Kahneman, già nel 1973, 35enne, lo colse in “Attention and effort”, un libro che fu il punto di partenza per un programma di ricerca che gli fruttò, poi, il Nobel per l’economia. In breve, egli constatò che le varie attività in cui siamo coinvolti richiedono una risposta selettiva (economica, diciamo noi) in base ad alcuni principi: l’attenzione è scarsa e varia di momento in momento; la quantità applicata dipende principalmente dalla rilevanza soggettiva delle attività svolte; l’attenzione è divisibile, è selettiva e controllabile; la sua allocazione riflette le predisposizioni permanenti di un individuo e le situazioni temporanee che lo coinvolgono.

A queste ci permettiamo di aggiungere un sesto principio: senza attenzione non può esservi decisione economica e prassi conseguente. Pertanto, l’economia dell’attenzione riveste aspetti applicativi molto suggestivi, per quanto inesplorati.

Insomma, il problema della distribuzione dei 525.600 minuti disponibili in un anno, e poi nell’arco di una vita, è intrigante. Pensiamo all’attenzione prestata alle 8.115 puntate di Beautiful. Poi paragoniamola a quella dedicata, nello stesso periodo, a scegliere 116 quintali di ortofrutta o 16 di pasta di semola. Nel primo caso parleremmo di molti mesi di attenzione dedicata; nel secondo di un giorno, forse? Ebbene, uno dei grossi problemi del marketing sta tutto qui: una marca, una mostra d’arte, un sito web che non ricevono attenzione sono condannati a morte.

Oggi ci sono tante tecniche e tecnologie per misurare la quantità e la qualità dell’attenzione che un pacchetto di farina o una cassetta di peperoni ricevono all’interno di un supermercato, al pari di un’analoga misurazione per uno spot televisivo. Possiamo quantificare anche l’interesse per le opere esposte in una galleria d’arte o quanti sguardi attira una vetrina e, con un po’ di buona statistica, rapportarlo alle vendite dei biglietti di entrata, agli acquisti nel negozio, agli scontrini battuti che contengono farina e peperoni. Ma non solo. Per le tante ragioni spiegate da Kahneman, un’attenzione che in termini di sforzo, d’investimento cognitivo, ne penalizza un’altra più importante verrà presto cancellata senza produrre un residuo mnestico (e questa è un’osservazione da trasferire a coloro che pensano sia proficuo impestare le pagine web di popup e di interferenze pseudopubblicitarie).

Insomma, il tema non solo è straordinariamente affascinante, ma anche drammaticamente rilevante per un mondo che è stato psicologicamente e materialmente cambiato dalla pandemia. Il malanno ha accelerato la tendenza in atto a virtualizzare tante attività, ma non dimentichiamo che la rappresentazione della realtà per immagini richiede molta più attenzione di quella polisensoriale in cui eravamo abitualmente immersi. Se prima potevamo sentirci fisicamente stanchi, saturi di stimoli fisici, ora lo siamo mentalmente dopo ore passate a guardare uno schermo piccolo o grande. Le statistiche relative all’alienazione da troppe ore di tv degli anni ’70-80 impallidiscono se confrontate a quelle d’osservazione di smartphone, tablet e pc. Tutti media caldi o freddi a seconda della predisposizione all’uso del loro utente, ma mostruosamente “time&brain-consuming”.

In conclusione, colpisce l’ingenuità con cui il marketing guarda oggi alle nuove tecnologie, alle tecniche espositive senza troppa cura alla misurazione e alla pesatura dell’attenzione. L’entusiasmo, per qualche verso puerile, che tributa alle innumerevoli technological wonders annunciate in gran stile in dibattiti e convegni lascia presagire un alto tasso d’inefficienza. Dunque ci auguriamo che il convegno previsto per il 17 settembre saprà indicare possibili rimedi attraverso gli interventi di studiosi e ricercatori, tutti impegnati a dare concretezza alle loro esperienze nei vari campi dell’attenzione. Tratteremo di neuroscienze applicate, di ricerche sui processi percettivi e cognitivi dei character utilizzati nelle varie promozioni, di product placement e altro ancora. Sarà il punto di partenza di un filone di ricerca originale e particolarmente coinvolgente.

Daniele Tirelli