Puntare sugli influencer spontanei oppure su quelli di professione?

Marilde Motta08/05/2018

Con il termine influencer marketing s’intende l’utilizzo di influenzatori in chiave di marketing (il loro compito è sintetizzato nella sigla Race: reach, act, convert, engage). Con caratteristiche personali (simpatia, credibilità, popolarità ecc.) unite a un livello di competenza (o anche semplicemente di gusto o stile), l’influenzatore cerca d’intrattenere i propri “seguaci”. Lo fa, nella maggior parte dei casi, attraverso un proprio blog, oppure operando all’interno del sito web del cliente e comunque in ambiente online.

Dietro all’intrattenimento c’è una finalità persuasiva di tipo commerciale: l’influenzatore intermedia nel rapporto marca-consumatore con lo scopo di generare interesse su un prodotto o brand specifico, presentandone caratteristiche e benefici. Spesso l’influencer include il prodotto nel proprio stile di vita e lo mostra come se ne facesse davvero parte, crea contenuti su di esso, in pratica fa animazione. Lo potremmo definire come un opinion maker di professione, che dà consigli per gli acquisti embedded in contenuti vari.

All’opposto troviamo gli opinion maker spontanei, ovvero persone familiari (parenti, amici, colleghi di lavoro) di cui si è potuta sperimentare conoscenza di un argomento, capacità d’informare correttamente, saggezza nei consigli e apporto di giudizi argomentati. Anche loro sono in grado di formare opinioni e consigli per gli acquisti. Qual è la differenza? I primi sono pagati e, ormai per legge, lo devono comunicare apertamente. Quindi si rientra nella casistica assai articolata della pubblicità. Agiscono con il meccanismo del “me too”, stimolando imitazione, e creano una sorta di dipendenza dal loro stile di vita, che viene sceneggiato come un film e idealizzato come una fiaba. I secondi invece si muovono in un ambiente offline, del tutto informale, agiscono face-to-face e il loro consiglio è disinteressato.

Ricerche condotte in Usa mostrano come il 73% degli intervistati crede soprattutto agli amici nella vita reale e solo il 27% alle persone frequentate online. Da qui una riflessione importante. Gli opinion maker spontanei non sono altro che consumatori soddisfatti e coccolati dai programmi di customer care su cui però le aziende investono con discontinuità. Comunque in modo non strategico rispetto ai risultati che potrebbero ottenere, trasformando clienti felici in efficaci influencer offline, capaci di suscitare fiducia nei brand e generare vendite. Oltretutto, gli stessi potrebbero essere attivi anche online, nelle varie piattaforme social con cui interagiscono, incrementando ulteriormente la notorietà del brand.

L’allocazione del budget di comunicazione soggiace a una strategia articolata che bilancia on e offline, ma un confronto sui risultati ottenibili dai due tipi di opinion maker è ormai indispensabile, usando indicatori capaci di approfondire il fenomeno (sociale, psicologico, economico) dell’influenzare.

Marilde Motta

Nella comunicazione dal 1978, in costante aggiornamento e approfondimento. Ho scelto le pubbliche relazioni come professione, dedicando attenzione a promozioni e direct marketing, su cui scrivo. Amo all’unisono il silenzio, i libri e i gatti. contatti@adpersonam.eu