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IL PUNTASPILLI
di Marilde Motta*
T
he Direct Marketing Association ha pubblicato a giugno una
nuova ricerca, una delle molte che rende disponibili ogni anno.
Questa in particolare è concentrata sul response rate delle varie
specialità all’interno del direct marketing negli Usa. La ricerca offre
un metro di analisi per comparare costi e performance in rapporto
ad altri mezzi, e ciò è davvero utile per chi deve pianificare. Certo,
la ricerca non ha validità per il mercato italiano, ma è interessante
notare come in un’economia molto evoluta come quella americana,
dove la penetrazione di new media è fra le più elevate al mondo, il
direct mail cartaceo abbia ancora un ruolo rilevante, ben lontano
dal declino. Negli ultimi 10 anni il tasso di risposta del direct mail
cartaceo è caduto del 25%, ma resta come
il tasso di risposta migliore, superiore
anche a quello del canale digitale (email
marketing), sebbene questo sia molto
più pervasivo e molto meno costoso.
The Dma offre alle aziende e alle
organizzazioni non profit il supporto di
ricerche che da un lato mantengono in primo piano l’interesse
per direct response, direct mail e telemarketing e dall’altro
mettono i potenziali investitori nella condizione di fare scelte
più articolate per quanto riguarda tecniche, mezzi e canali. Gli
investimenti in direct marketing nel mercato statunitense si
sono attestati lo scorso anno sui 168 miliardi di dollari, ovvero
quasi il 53% di tutti gli investimenti in comunicazione in Usa. In
questo paese l’industria del direct marketing muove attività che
complessivamente valgono l’8,7% del pil. Dati inimmaginabili
non solo in Italia, ma anche nel contesto europeo. Sarebbe
interessante capire perché il direct marketing in Italia è così poco
utilizzato rispetto ad altre discipline di comunicazione. È quasi
un paradosso, poiché le strategie di marketing sono ormai tutte
customer centric e prodotti e servizi sono costruiti attorno ai
consumatori. Il direct marketing è per definizione incentrato sul
singolo cliente (sia esso un consumatore o un’azienda nel rapporto
di b2b) e apporta il beneficio della comunicazione a due vie, del
dialogo effettivo, chiamando all’azione immediata. Il principio
su cui si basa il dm è proprio l’efficienza comunicativa: l’uso di
database ben profilati consente di non sprecare l’investimento,
portando a destinazione un messaggio adatto al ricevente, nel
contempo consente tracciabilità, misurazione, efficienza. Con la
tecnologia digitale, il dm ha a disposizione una nuova dimensione
espressiva che agisce attraverso strumenti come smartphone
e tablet per connettersi a un consumatore sempre più mobile
e a corto di tempo, che ha bisogno quindi delle informazioni
appropriate, on/off line per fare le sue scelte di consumo.
* Titolare di Ad Personam - contatti@adpersonam.eu
Perché il direct marketing
è ancora poco utilizzato in Italia?
Negli Stati Uniti
il direct marketing
muove attività che
complessivamente
valgono l’8,7% del pil
e pubblica amministrazione.
Diverse le motivazioni che
hanno portato al risultato
positivo complessivo: la
valorizzazione dell’apporto di
valore reputazionale tipico delle
pr, la crescita dell’investimento
medio, l’attrattività del settore
verso nuovi investitori, grazie
anche alla possibilità di accesso
a investimenti più facilmente
alla portata anche delle pmi,
asse portante dell’economia
italiana. “La lettura dei dati della
nostra ricerca - ha dichiarato
Beppe Facchetti, presidente di
Assorel - ci conferma che in
tempi di crisi il contributo che
le rp danno ai fattori sostanziali
di successo dell’impresa, come
la reputazione, è valutato con
grande interesse dal mercato.
È certamente finito il tempo
dell’immagine, delle conquiste
di spazi ‘mordi e fuggi’, e
conta sempre più quello che le
nostre aziende possono dare
in consulenza e operatività
per affrontare sfide decisive
per importanti settori della
produzione e dei servizi,
compresi quelli pubblici”.
Forte cautela è invece manifestata
dalle imprese per quanto riguarda
le previsioni di andamento per
il 2012, perdurando ancora per
tutto l’anno in corso la crisi
dei consumi e considerando la
drastica caduta del pil, prevista
dal Centro Studi Confindustria.
Il 75% ritiene che l’anno in
corso sarà decrementale o di
stabilità, mentre solo un quarto
dei rispondenti ipotizza un
ulteriore sviluppo congiunturale
del settore dopo il + 6%
complessivo dell’ultimo biennio.
Più positive le indicazioni
espresse per la propria azienda,
il cui andamento si suddivide
in tre parti uguali tra crescita,
stabilità e decremento.
(G. M.)
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ercati &
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arketing
SCENARI
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settembre 2012