Le strategie di marketing al vaglio delle odierne dinamiche di massa

Si pone la questione di come la promozione, intesa come insieme di forme d’incentivazione e più in generale il mercato, saprà allinearsi alle tendenze espresse dalle ondate di pubblica opinione che si registrano nell’attuale momento storico, confuse, ingovernate e con motivazioni eterogenee

TIRELLI_PM180Il marketing è una tecnica che vive in simbiosi parassitaria con altri campi di un sapere più elevato e strutturato, quali la sociologia, l’antropologia, l’economia, l’estetica ecc. Ne trae vantaggi creativi e restituisce un senso finalistico a quegli insegnamenti diversamente ritenuti astratti. In parole semplici, coglie lo spirito del tempo, le evidenze comportamentali e culturali e piega il tutto ai fini prosaici della promozione dei vari prodotti e servizi. I lavori meglio riusciti sono quelli di marketing manager dotati di un sapere ampio e multiforme e non semplicemente di una tecnica manualistica e confinata a un ambito specifico. È sempre stato così. Gli esempi sono innumerevoli. Chi conosce la storia della pubblicità e della promozione ricorda che il periodo della Seconda Guerra Mondiale e quello dell’immediato dopoguerra costituirono momenti di eccezionale creatività, la quale, per essere efficace, pescava nei sentimenti e nelle pulsioni più profonde della popolazione. Tutto ciò, sia sul lato dei “good guys”, gli americani e i britannici, sia su quello dei “bad guys”, i nazisti, la cui deplorevole produzione propagandistica fu, peraltro, frutto di una scuola di altissima (forse ineguagliata) maestria nell’arte della manipolazione delle coscienze, dei comportamenti e della fidelizzazione al regime. A questo proposito, proprio ai fini della preparazione di base, che precede le mere tecnicalità, si dovrebbero riconsiderare criticamente, come verrà spiegato in seguito, alcuni caposaldi nello studio della psicologia di massa. Così, andrebbe riesaminato l’esperimento “Third Wave” di Ron Jones. Condotto nel 1967, nella Cubberley High School di Palo Alto, grazie alla carismatica personalità di questo insegnante, che utilizzò una serie di specifici artifizi retorico- comportamentali, l’esercizio finì, in un periodo brevissimo, per creare i presupposti di un “regime” interno alla scuola, con tratti simili all’autoritarismo nazista o stalinista. In realtà, la sua finalità era l’esatto contrario. Cercava di dimostrare come si possa cancellare l’individualismo alla base del sistema democratico. Tuttavia, l’esperimento degenerò rapidamente in direzione contraria e venne interrotto e rinnegato dallo stesso docente, spaventato da quel che aveva suscitato.

Un altro caso è il celeberrimo test di Milgram del 1961. In una sorta di gioco guidato da uno scienziato, si ordinava a persone del tutto normali d’istruire un altro soggetto attraverso delle azioni confliggenti con i loro valori etici e morali. Nel ruolo di insegnanti, individui normalissimi accettavano, pur in uno stato di forte stress, di punire con scariche elettriche crescenti (sino a 400 volt) gli errori comcommessi dal discepolo, il quale, invisibile, simulava dolore e sofferenza. Ripetuto recentemente, l’esperimento ha dato i medesimi risultati: 3/4 dei soggetti, pur se combattuti, hanno continuato a punire gli altri sino all’estremo limite. Molti altri esperimenti (tipo il Dr Fox Effect o l’Ash Conformity Experiment) su campioni di odierne popolazioni di varie nazioni avanzate dimostrano che il conformismo latente nella maggioranza degli individui prevale sulla razionalità. Tutto ciò in un senso e nell’altro: ovvero quello della sottomissione e quello della ribellione. Personalmente ebbi modo di cogliere chiare e importanti espressioni di gregarismo nel 2015, all’Expo di Milano. Partita in sordina, così da far temere un fallimento, la manifestazione si caratterizzò invece per fenomeni comportamentali insoliti e oltremodo interessanti. Perché migliaia di persone si sottoponevano, in un crescendo, a 5, 6, 8 ore di attesa, in fila, per vedere nel Padiglione Italia ambientazioni di Roma o Venezia, che ciascuno avrebbe potuto vivere di persona? Perché analoghe attese per gli stand del Giappone o del Brasile? Tali sacrifici sembravano motivati dal fatto che “se altri reputavano meritasse attendere tutto quel tempo per entrare, allora valeva la pena di spenderlo anche per sé”.

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Fenomeni di massa come quelli rappresentati dai gilet gialli e dalla Brexit evidenziano modi di un sentire collettivo non misurabili con le usuali metriche demo-socio-economiche utilizzate anche dalle ricerche di mercato.

Ricordate il “floating pier” sul Lago d’Iseo, dello sconosciuto (ai più) artista bulgaro Christo? Istallazione prevista ottimisticamente per alcune centinaia di migliaia di persone, venne sommersa da oltre 1 milione e mezzo di visitatori, prima che una regolamentazione di pubblica sicurezza impedisse un afflusso notevolmente maggiore e molto rischioso.

Oggi il fenomeno Brexit e gilet gialli ripropone lo stesso tema: ondate di pubblica opinione, ingovernate e con motivazioni eterogenee, confuse e inespresse non risultano correlabili alle usuali metriche demo-socio-economiche, utilizzate anche dalle ricerche di mercato. A ben guardare, non vi sono state delle variazioni di stato (reddito, ricchezza, densità abitativa, criminalità, mutamenti culturali ecc.), misurate e illustrate dalle serie storiche statistiche, tali da giustificare rotture conflittuali di questa entità.

Questi aspetti meriterebbero uno spazio molto maggiore per essere descritti, analizzati e collegati in senso euristico alle nostre tematiche specifiche, ma per giungere a una conclusione possiamo considerare quanto segue. Tutti gli anni ‘80 e ‘90 sono stati caratterizzati, grosso modo, da un “conformismo acquiescente” di adesione ai valori più diversificati e relativizzati di un sistema tollerante e inclusivo o liquido (come lo definì Bauman). Probabilmente dall’attentato al World Trade Center di New York in poi le dinamiche sono mutate, evidenziando progressivamente un conformismo aggressivo, che si riteneva scomparso o relegato nelle culture segregate del sottosviluppo o nell’irrazionalismo religioso non occidentale. Gli anni 2000, hanno visto dunque svilupparsi le “machines des hyperboles” spiegate magistralmente da Raymon Boudon, il quale, con grande anticipo, avvertiva il ruolo che avrebbe assunto “l’art de se persuader”.

La questione, allora, diviene la seguente: in che modo la promozione (intesa come insieme di forme d’incentivazione) saprà allinearsi alle tendenze di questo mood generale? Soprattutto, potrà la distribuzione commerciale uscire dalla ripetitività dei formati e dell’offerta, proponendo delle alternative che colgano l’umore del popolo più povero e in rivolta? L’ipermercato rappresentò il trionfo della varietà e l’esordio della mass customization. Potrebbero, invece, i warehouse club e i discount di nuovo tipo, con la loro semplificazione assortimentale, l’antiretorica e l’aggressività dei prezzi, dare risposta alla sensazione di privazione e di esclusione che pervade le nazioni europee? E ancora: quali effetti scaturiranno dai vincoli, dalle restrizioni e dai divieti ipotizzati al commercio brick & mortar, all’ecommerce, a quello etnico? E come evolverà il politically correct per la comunicazione pubblicitaria e le varie forme di promozione? Il rigetto ideologico del cosmopolitismo delle multinazionali del consumo come Carrefour, Auchan, Leroy Merlin ecc. avrà conseguenze concrete? L’enfasi posta sul localismo e sull’autarchico impatteranno sulle traiettorie imprenditoriali del commercio, ipotizzate prima che scoppiasse la bolla ansiogena del popolo votato al “cambiamento”?

ROTTURE CONFLITTUALI NON GIUSTIFICATE DAI DATI STATISTICI

Oggi il fenomeno Brexit e gilet gialli evidenzia un’opinione pubblica con motivazioni eterogenee, confuse e inespresse non correlabili alle usuali metriche demo-socio-economiche, utilizzate anche dalle ricerche di mercato. A ben guardare, non vi sono state delle variazioni di stato (reddito, ricchezza, densità abitativa, criminalità, mutamenti culturali ecc.), misurate e illustrate dalle serie storiche statistiche, tali da giustificare rotture conflittuali di questa entità. Per esempio, l’indice di povertà relativa in Italia nel 2005 era dell’11,1%; nel 2012 era del 12,7%; nel 2017 era diminuito al 12,3%. Ciò nonostante, il sentimento di rivolta verso il sistema e le “forze oscure” che producono questo stato di disagio è esploso solo recentemente e non 15 anni fa. Perché? La popolazione straniera, nel 2011, era di 4,8 milioni; nel 2018 era di 5,1 milioni. Tuttavia, la sensazione di una inarrestabile invasione si è accentuata molto più che proporzionalmente ed è divenuta la principale fonte di ansietà.