La fedeltà oggi è un linguaggio che si rinnova a ogni interazione. Nel mondo dei beni di largo consumo, dove ogni anno arrivano sugli scaffali fino a 30.000 nuovi prodotti, la competizione si gioca sul prezzo, sulla promozione, ma soprattutto sulla capacità di essere rilevanti sempre, ovunque e in modo coerente.
I consumatori si muovono più velocemente delle categorie che li definiscono. Nielsen Iq rileva che il 64% del pubblico globale sta cambiando abitudini e preferenze con una frequenza mai osservata prima. In Europa la convenienza spinge verso private label e acquisti intelligenti; negli Stati Uniti l’inflazione incentiva alla caccia alla promozione. Ma ciò che colpisce, trasversalmente, è la ricomposizione della relazione tra persone e marca: non basta esserci, bisogna significare qualcosa.
E i brand che riescono a farlo hanno alcuni tratti in comune.
- La fedeltà inizia dai dati (ma non dai big data). La ricevuta, un oggetto apparentemente neutro e sempre uguale a sé stesso, sta diventando la chiave di volta della ricostruzione della relazione. Da semplice prova d’acquisto a accesso ai dati di prima parte. Concorsi, promozioni, programmi, tutto serve a ricostruire il contesto e non solo il gesto.
- Dall’esperienza allo spazio esperienziale. L’integrazione tra digitale e fisico non è più “phygital” ma è un continuum. L’Oréal con il Connected Lipstick porta l’augmented reality dentro un gesto quotidiano. Charlotte Tilbury ricostruisce il negozio online come un ambiente abitabile. Anche una campagna in metropolitana, come quella di Smalls, diventa interfaccia quando basta un qr code per trasformare uno sguardo distratto in un’interazione. Il prodotto non basta più: serve un contesto.
- Le partnership diventano infrastrutture, non semplici collaborazioni. Il punto non è fare più targeting ma riformulare la posizione della marca nella giornata del consumatore. La fedeltà non si conquista solo al supermercato: si conquista nella banca, nel feed, nel momento.
- I programmi fedeltà evolvono: dal “premio” al “perché”. Sephora lo ha capito prima di tutti: la ricompensa non è il punto, l’interazione sì. Sfide, minigame, esperienze, personalizzazione. Il programma fedeltà passa da contenitore a ambiente narrativo.
- I valori non sono comunicazione, sono architettura di prodotto. Non è sufficiente dire “sostenibile”, né basta donare un euro a causa sociale. Conta la coerenza tra scelta, gesto e racconto. Ciò che emerge è che il valore è percepito quando è dimostrabile e continuo.
- Il social non è più canale: è spazio comportamentale. La campagna #CleanTok di Unilever su TikTok non ha “parlato” ai consumatori: ha aperto una conversazione che esisteva già. Il successo non nasce dal contenuto ma dal tono, mostrando un punto chiave: oggi il brand entra nel desiderio, non lo costruisce da zero.
- Il prodotto è vivo (e può cambiare ogni settimana). Heinz che trasforma un meme legato a Taylor Swift in un condimento in meno di 24 ore. Aura Bora che rinnova i gusti ogni due mesi per mantenere attesa e movimento. L’Oréal che costruisce innovazione su una rete globale di ascolto, non sulla ricerca chiusa. L’innovazione non è una pipeline. È un ritmo.
La fedeltà oggi è una forma di ascolto attivo. Non è un sistema di punti, né una carta, né un’app. È invece la capacità di una marca di riconoscere una persona, comprenderne i movimenti, restare utile e dare valore prima ancora di richiederlo.
La fedeltà è ciò che si costruisce mentre accade. E nei beni di largo consumo, dove tutto potrebbe sembrare uguale, questo fa la differenza tra restare sullo scaffale e restare nella mente.
Il resto è velocità e intelligenza di adattamento, due qualità che sembrano solo tecniche di marketing ma sono invece sempre più forme di cultura.
Questo articolo prende spunto da uno degli approfondimenti pubblicati sul blog di Snipp Interactive, martech company globale, specializzata in soluzioni per promozioni e loyalty.
Qui il contenuto integrale: https://www.snipp.com/blog/cpg-loyalty-strategies

