Quella del back to school 2025 è un’esperienza già alle spalle, ma significativa ed efficace: la raccontiamo oggi per trarne spunti utili e offrire alle aziende una chiave di lettura per iniziative strategiche per il 2026. Il ritorno a scuola è diventato – per la gdo come per altri settori – un momento strategico di ingaggio: non solo sconti sui prodotti, ma campagne che parlano ai bambini e alle loro famiglie, creano rituali e alimentano fedeltà long-term. È un momento fortemente caratterizzato in senso emotivo: l’inizio della scuola è da sempre un evento denso di aspettative e timori. Il bambino riveste un ruolo centrale nelle dinamiche familiari e chiede e ottiene, più del solito, oggetti significativi per status, estetica, praticità.
L’inizio del nuovo anno scolastico è accompagnato da una sorta di rito propiziatorio che spinge a intensificare i consumi (“ho voluto l’astuccio nuovo perché me lo regala ogni anno mia nonna perché dice che porta fortuna e che bisogna iniziare l’anno scolastico con le cose nuove!”). Durante le campagne back to school i punti di vendita vedono dunque la crescita del traffico e del carrello medio, soprattutto in famiglie con figli in età scolare (trend osservato anche a livello internazionale nei report di settore sul back-to-school). Ed è qui che la grande distribuzione ha trovato un terreno fertile per costruire engagement e fedeltà.
Negli ultimi anni si è parlato sempre più di promozioni “scuola-friendly”, iniziative che non si limitano a scontare prodotti, ma sostengono concretamente le famiglie e le scuole, che sempre più spesso chiedono un supporto concreto alle famiglie per dotarsi di strumenti e materiali. Abbiamo interpellato con Tips Ricerche un panel qualitativo milanese: sono emersi racconti rispetto alla scelta preferenziale del punto di vendita Esselunga in funzione del buono-scuola, che hanno portato al coinvolgimento dell’intera famiglia in senso allargato. Uno degli elementi vincenti di tali iniziative è la capacità di dare al bambino grande protagonismo: il piccolo è il vero motore della raccolta e sente di compiere un’azione positiva per la sua comunità/ scuola, ma anche di trasformare l’ordinario in qualcosa di epifanico e significativo. Il bambino, grazie ai buoni, aiuta a far rinascere o migliorare la sua scuola.
L’eroe bambino in questo scenario non è un guerriero, ma un eroe sociale/civico la cui impresa è etica e comunitaria, dimostrando che anche un’azione piccola può avere un grande impatto. Il contesto promozionale diventa così, nella metafora dell’eroe bambino, un piccolo viaggio avventuroso: la campagna promozionale stessa è l’appello (la chiamata a raccogliere i buoni), le prove sono la raccolta continua, la pazienza, l’impegno a convincere altri (genitori, parenti) a partecipare e infine i buoni raccolti si trasformano nel tesoro (i materiali scolastici). Nel bambino nasce un sentimento di orgoglio e appartenenza: partecipa a un’impresa collettiva, contribuisce al bene comune, sente che la sua azione ha un valore.
Ogni buono scuola diventa una piccola moneta simbolica di fiducia, un frammento di responsabilità condivisa. Tuttavia, quando la raccolta si trasforma in gara, quando i numeri diventano misura del valore, nei bambini può emergere la sensazione di rimanere indietro o di non essere come gli altri, nel suo contributo familiare. Il bambino che non può portare buoni, perché la famiglia non fa la spesa in quel supermercato, rischia di sentirsi escluso, meno parte del gruppo. È qui che la linea si fa sottile: tra il coinvolgimento e la pressione, tra l’educare al dono e l’invitare al consumo. Il sentimento da veicolare è che le campagne invitino alla metafora dell’eroe cooperativo: non un supereroe che salva il mondo da solo, ma un bambino che, insieme agli altri, costruisce qualcosa di buono. È l’eroe quotidiano che scopre la forza del noi, l’importanza del piccolo gesto, la gioia di contribuire.
Nella comunicazione è importante ricordare che i bambini non devono sentirsi eroi per spendere, ma per partecipare. E l’emozione di fondo che fa leva sui bambini è proprio il sentirsi parte di un progetto comune. E il coinvolgimento tocca ogni fascia di età: bambini, adolescenti e genitori raccontano di sentirsi parte di un progetto comune, in cui si genera una sorta di competizione positiva tra classi e studenti su chi riesce a portare più buoni (“se mia zia mi dà dei buoni scuola Esselunga sono contento così li posso portare a scuola…se ne porti tanti è come se ti sentissi importante perché stai facendo una cosa utile per la scuola”, “gli altri anni abbiamo comprato la lim e la preside aveva fatto un discorso ringraziando tutti i ragazzi e le loro famiglie”). Inoltre per tutte le aziende coinvolte il ritorno reputazionale è forte, perché il brand diventa un partner della comunità, rafforzando il legame con famiglie e insegnanti e rendendo i bambini protagonisti di un’attività virtuosa valorizzata dal contesto di riferimento (“io sono contento di portare i buoni scuola perché la scuola può avere delle attrezzature tecnologiche molto costose!”).
Le reazioni dei bambini, come visto, sono centrali: la percezione di contribuire al bene comune insieme ai propri genitori genera entusiasmo e senso di appartenenza (“a scuola mia raccolgono i punti Esselunga e Coop ma ci hanno detto che dobbiamo magari preferire un solo supermercato altrimenti alla fine non abbiamo il numero di buoni sufficienti: dobbiamo concentrarci tutti su un unico supermercato per non diminuire i punti”). Ma attenzione: non mancano le criticità come già accennato. Analizzando i contributi in rete da parte di utenti emerge un sentiment online ambivalente: accanto all’orgoglio per la possibilità di contribuire, emergono critiche sulla trasparenza delle iniziative e sulla quantità di buoni necessari; alcune famiglie lamentano inoltre una attività di marketing eccessivamente aggressiva, soprattutto in quanto mirata a un target di minori. Infine questo tipo di iniziative rischia di essere escludente per le famiglie con minori possibilità economiche. Questo aspetto richiede particolare cura nell’impostare la strategia comunicazionale, che dovrebbe sempre essere rassicurante, inclusiva, non aggressiva. La fidelizzazione è indubbia, i numeri lo dimostrano (per esempio Esselunga ha distribuito con il programma “Amici di scuole e dello sport” oltre 154 milioni di euro in materiali a più di 22.000 scuole italiane).
Tuttavia, la sfida per le aziende sarà dimostrare che dietro il gesto promozionale non ci sia soltanto un ritorno d’immagine, ma una reale capacità di sostenere le comunità scolastiche e accompagnare i ragazzi verso competenze future, riducendo quanto possibile i divari territoriali. Sarebbe inoltre auspicabile moltiplicare i momenti di ingaggio, dando la possibilità di donare punti/gadget a scuole, asl, centri sportivi locali o progetti sociali in momenti diversi dell’anno (per esempio a inizio estate per attività estive). Questo aumenterebbe la partecipazione, sostenendo nel tempo la reputation dei brand. Il rischio, altrimenti, è che la promozione scuola-friendly rimanga un elegante meccanismo di loyalty stagionale. La vera opportunità è trasformarla invece in un patto educativo costante tra aziende, famiglie e istituzioni.

