La clausola Facebook anomalia
dei concorsi made in Italy

Gianni Tomadin09/07/2013

Il nuovo fenomeno dei social network ha costretto le imprese a sviluppare una strategia di social media marketing. E questo ha offerto grandi opportunità di crescita per le agenzie capaci di cavalcare l’onda.

Il trend non ha risparmiato l’Italia, nonostante le nostre aziende non possano ancora sfruttare al meglio il potenziale di questi strumenti. Prendiamo come esempio Facebook. Da qualche anno, nei regolamenti di concorsi a premi realizzati attraverso questo social si legge la seguente enigmatica clausola: “partecipazione riservata agli utenti già iscritti a Facebook prima della data d’inizio del concorso”. Tale limitazione, non riscontrabile nella legislazione di altri paesi, è il risultato della mediazione tra le interpretazioni ministeriali e le necessità delle aziende italiane di avvalersi dei social media. Il ministero impone l’obbligo di osservare questa clausola nel caso Facebook sia l’unico canale di partecipazione al concorso; in caso contrario, è necessario associare Facebook alla manifestazione. Il promotore corre quindi il rischio di vedersi comminare una sanzione, fino a 500.000 euro, per manifestazione vietata, poiché in pratica non è possibile associare Facebook. Questo social, infatti, richiede di dichiarare nel regolamento del concorso che esso non è in alcun modo associato all’iniziativa.

Le remore ministeriali sono parzialmente comprensibili, poiché nascono dal meritevole proposito di proteggere i consumatori e le aziende: Facebook è un’azienda privata che potrebbe senza preavviso “oscurare” qualsiasi attività concorsuale e ciò metterebbe i promotori nell’impossibilità di onorare la promessa pubblica fatta nei confronti dei loro utenti finali.

In conclusione, però, permane la convinzione che il sistema Italia debba cercare di favorire gli investimenti promozionali delle aziende nazionali e internazionali. Molte multinazionali che sviluppano dall’estero concorsi Facebook multipaese sono costrette a sobbarcarsi un costo aggiuntivo per adattare il software solo per l’Italia e, vista la presente contrazione economica, spesso questo budget non è facilmente ottenibile, con il risultato che l’Italia risulta esclusa. Anche per l’azienda nazionale tutto ciò comporta inutili e pesanti aggravi economici e limita il potenziale dei social media.

Lo stesso principio è applicabile alle altre piattaforme social come Twitter. Noi addetti ai lavori stiamo da tempo cercando di spingere le autorità competenti a eliminare l’obbligo di associazione nei confronti di social media gratuiti e di rimuovere l’obbligo della territorialità del server, di cui parleremo nella prossima puntata. Speriamo!

Gianni Tomadin