Il marketing non può basarsi solo sulle certezze degli algoritmi 

Antonio Votino27/02/2018

Un database pieno d’informazioni su transazioni di vendita e anagrafiche clienti, come quello di una carta fedeltà, ha bisogno di algoritmi per dominare le ricerche, per estrarre dati secondo logica, per dare informazioni a sistemi più evoluti e che correla le nostre ricerche sulle preferenze dei consumatori espresse con scelte di consumo e confronta tutto ciò con le azioni di migliaia e migliaia di possessori
di carta fedeltà simili.

La profilazione nei database di clienti noti è un tema interessante non solo per l’informatico ma anche per l’analista di marketing, perché le proprietà fondamentali che deve avere un qualunque sistema di segmentazione della clientela sono identiche per l’informatica e il marketing relazionale: i processi di segmentazione devono essere elementari, cioè non possono essere ulteriormente divisibili (atomicità) ma affrontati uno alla volta; non devono poter essere interpretati in altri modi (non ambiguità); prevedono un certo numero di step e in ingresso soltanto una determinata quantità di dati (finitezza); l’esecuzione della segmentazione e la produzione dell’output devono terminare entro un certo periodo di tempo utile allo step successivo (terminazione); risultato univoco (effettività); ogni step è ben stabilito (determinismo).

Bello è l’esempio della caffettiera napoletana che si vede in una commedia di Eduardo de Filippo e che per essere usata prevede un rito che è codificato: prendere la macchinetta del caffè, il caffè macinato e un cucchiaino; aprire la macchinetta del caffè e riempirla con dell’acqua; mettere il caffè macinato nel filtro; mettere il filtro con il caffè macinato sopra la macchinetta; chiudere la macchinetta del caffè; aprire il fornello; posizionare la macchinetta del caffè sul fornello. Ne consegue che si tratta di attività che devono essere fatte con competenza e con tempo e dati appropriati.

C’è però un rischio, conosciuto, che va tenuto sempre presente: quello della “campana di vetro”. Chi analizza i dati si trova ad agire in un ambiente che gli esperti definiscono come “una campana di vetro” e, a causa del distacco che egli ha con la realtà operativa e del “filter bubble” (in italiano, bolla autoreferenziale) in cui è immerso, corre il rischio di limitare la visione a contenuti, sicuramente interessanti, che restituiscono però sempre le stesse informazioni negli stessi dashboard analitici, senza sperimentare ricerche e correlazioni di altro tipo o non percorse mai prima.

Ma il marketing non può basarsi solo sulle certezze degli algoritmi, dimenticando che i dati analizzati provengono da comportamenti umani, non ancora definibili da calcoli e numeri. È vero che i numeri portano quasi sempre a un risultato certo, le statistiche ci danno una prospettiva, gli strumenti informatici ci permettono di prevedere quasi tutto, ma ogni tanto ricordiamoci di essere umani e visitiamo i punti di vendita scrutando con attenzione i clienti, i loro comportamenti, e smontiamo in noi stessi le certezze matematiche.

Antonio Votino