Privilegiare la competenza non le affinità con il target

Uno dei concetti più abusati e di conseguenza più equivocati nel linguaggio del marketing attuale è l’essere customer centric. Esserlo è sacrosanto e pure difficilmente contestabile: è ovvio che dobbiamo mettere il cliente al centro del nostro sistema di business; in fondo è da lui che dipendono le fortune di qualunque impresa. È quindi naturale che si debba ascoltarlo, seguirlo durante la sua journey, accoglierne le problematiche post vendita, andare in cerca del Sacro Graal detto consumer insight ecc. Ciò che è meno scontato è cosa vuol dire nella pratica e la serie di equivoci che ne seguono, come l’idea che per essere customer centric bisogna appartenere allo stesso gruppo sociodemografico del consumatore. I nostri consumatori sono prevalentemente femminili? Ci vuole un team di donne. Sono millennial? Bisogna assumere nel marketing team 25-35enni. E così via. Ma questa è un’equazione impossibile da sostenere nella realtà.
La prima regola del marketing è che il mercato (e di conseguenza il consumatore) non sei tu, caro marketer. Tu devi essere un esperto del tuo mercato e per quanto possa essere distante per età, sesso e livello culturale dal tuo pubblico di riferimento, se davvero hai padronanza dei fondamentali e delle dinamiche del mercato stesso, sei nella posizione per fare il miglior lavoro possibile, lavorando sui dati e sull’ascolto. Può aiutare un’affinità tra il marketer e il consumatore in termini sociodemogra fici? Certo che sì, non voglio negarlo in assoluto. Può accelerare certi processi di comprensione, gettare nuova luce sotto certi aspetti ma, attenzione, è un’arma a doppio taglio perché spinge a fidarsi troppo del proprio istinto (giusto per carità ascoltare il “gut feeling”, ma c’è una pericolosa contiguità con la presunzione) e a ignorare o sottovalutare i dati. Il rischio è di privilegiare la conoscenza a scapito della competenza.
Che detto in questo modo non sembra nemmeno così micidiale, ma a ben vedere, se può funzionare un modello di competenze senza conoscenza, come nel caso del processo evoluzionistico di selezione naturale (a meno che non siate creazionisti), gli esempi di sottovalutazione delle competenze sono storicamente forieri di danni catastrofici.
Questa riflessione ha un’alta rilevanza nell’odierno ambiente della comunicazione e del marketing, dove le politiche di assunzione, soprattutto nelle agenzie, tendono proprio a privilegiare l’affinità socioculturale rispetto alle competenze in senso stretto. L’equivoco della customer centricity è anche, o forse principalmente, un equivoco sul vero ruolo del marketing e delle persone che fanno questo mestiere.
Dobbiamo tornare a essere prima di tutto il legame primario, la cinghia di trasmissione tra l’azienda e il mercato, coloro che, con gli strumenti e i dati, sanno interpretarlo e orientarlo, che siano o meno dello stesso sesso, della stessa età, dello stesso milieu culturale del target di riferimento.

Andrea Fontanot