Da considerare anche l’impatto ambientale della comunicazione

Marilde Motta13/01/2020

Un paio di antefatti. Anni fa, quindi non in tempi di panico da inquinamento, in questa stessa rubrica scrissi un articolo che metteva in dubbio la sostenibilità ambientale delle promozioni. Pensavo a inchiostri e vernici da grattare, le cui componenti chimiche non erano del tutto innocue, pensavo ai tanti gadget in plastica che avevano vita breve e alle tonnellate di materiale pop il cui smaltimento aveva una sola direzione: la discarica tombale (o peggio la dispersione nell’ambiente). Il secondo antefatto è di qualche giorno fa: una normale visita al supermercato mi mette di fronte a un floorstand promozionale di Ferrero Kinder 7 Cereali. Nell’espositore in cartonato erano inserite alcune coppette di plastica contenenti i cereali, cibo vero, della gamma presente nei biscotti Kinder 7 Cereali. Dunque, un biscotto “salutista” che non solo spreca materia prima commestibile, ma si presenta anche in un floorstand il cui smaltimento è piuttosto problematico (al termine della promozione che fine faranno il cartone, le coppette di plastica e i cereali contenuti?).

Vorrei che si ricordasse che l’allarme sullo stato di salute del pianeta fu lanciato dal “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, realizzato dal Club di Roma nel 1972, quindi 47 anni persi invece di prendere provvedimenti. Industria di marca, distribuzione e le agenzie di comunicazione, che per loro creano le campagne per porre in relazione i consumatori con i brand (e i sottesi prodotti e servizi), non si sono mai poste il problema dell’impatto ambientale di tutti i materiali di comunicazione. Ora, nel momento dell’emergenza rifiuti, dell’ondata di entusiasmo per l’economia circolare e di odio irrazionale per la plastica, ci si ritrova a disperdere parole in dibattiti invece di agire. Certo ci sono certificazioni, come la Iso 14001, le varie ecolabel europee e una miriade di sigle come la Energy Star, Fsc, Pefc, Green Seal, Msc che al consumatore finale dicono ben poco, quando invece avrebbe bisogno di chiarezza e certezze nel momento in cui deve scegliere un prodotto e preferire un brand virtuoso. La responsabilità personale del consumatore viene chiamata in causa, ma se le municipalizzate dei servizi ambientali spiegano in che bidone mettere il poliaccoppiato che conteneva il latte, che ne è di tutti i supporti di comunicazione che svolgono la loro funzione segnaletica sul punto di vendita o fuori e hanno guidato proprio la scelta del consumatore?

C’è una concatenazione evidente che coinvolge tutte le discipline di comunicazione on e offline (anche produrre un bit ha un impatto ambientale, anche un evento deve conformarsi allo standard internazionale Iso 20121 per essere sostenibile), in tutte le occasioni in cui si manifestano e per tutti i materiali usati.

Ci sono diversi livelli di responsabilità che si intrecciano fra industria di marca, retail e agenzie. L’ultimo anello, il consumatore, dovrà chiedere un rendiconto a chi si pone dal lato dell’offerta.

Marilde Motta

Nella comunicazione dal 1978, in costante aggiornamento e approfondimento. Ho scelto le pubbliche relazioni come professione, dedicando attenzione a promozioni e direct marketing, su cui scrivo. Amo all’unisono il silenzio, i libri e i gatti. contatti@adpersonam.eu