Indicatori neurometrici per misurare meglio la reputation

Vincenzo Russo09/02/2022

Il metodo di Omnicom Pr Group Italia e Neuromarketing Lab Iulm consente di misurare gli atteggiamenti verso il brand attraverso l’analisi delle influenze non consapevoli e non intenzionali (iat) e dei dati dell’elettroencefalogramma (eeg).

Oggi la reputazione trova nel corporate purpose una nuova, potente leva a rinforzo e protezione del percepito di marca. Brand e reputazione sono due facce della stessa medaglia. Il brand è l’identità comunicata dalla marca, mentre la reputazione è il percepito altrui. La reputazione è, quindi, l’esito di un processo articolato che non si gioca nel breve periodo. Vista l’importanza del concetto e l’effetto che la reputazione ha sui comportamenti d’acquisto, per le aziende è molto importante riuscire a misurarla efficacemente. Ciò permette anche di pianificare eventuali cambiamenti o miglioramenti.

La brand reputation dipende per il 50% dai prodotti/servizi, per il 21% dai comportamenti dei vertici aziendali e per il 29% dall’impatto sociale della marca

In un momento storico in cui i consumatori sono particolarmente attenti al tema ambientale, all’eticità delle scelte dell’azienda e al purpose che la caratterizza, avere strumenti validi di misurazione della reputazione è diventata un’importante necessità. Il tema della misurazione, tuttavia, solleva particolari problemi e mette in gioco gli approcci neuroscientifici di analisi. Come in tutti i processi di comunicazione umana interpersonale, è inevitabile, infatti, che vi sia un divario tra i messaggi e le azioni dei brand e ciò che le persone decodificano, percepiscono, trattengono. Si tratta di delicati equilibri comunicativi, ulteriormente resi complessi dal fatto che la reputazione dei brand dipende solo per il 50% dai benefici provenienti da prodotti/ servizi associati ai brand, per il 21% dai comportamenti dei vertici aziendali e per il 29% dall’impatto sociale della marca (dati Astra Ricerche, settembre 2019, per Omnicom Pr Group Italia). Quest’ultimo fattore è particolarmente significativo, poiché la credibilità dello scopo sociale, ultimo e autentico, dei brand passa proprio attraverso la narrazione del loro corporate purpose.

Riuscire a misurare questo dato però è complesso, poiché spesso i dati raccolti con la dichiarazione consapevole dei consumatori rischiano di non essere esaustivi e veritieri. In fondo la reputazione ha un forte connotato emozionale cui potrebbe essere difficile giungere, utilizzando solo modelli di analisi razionalizzanti. Con l’obiettivo d’individuare un modello di neuroanalisi per la brand reputation meno fallace del dichiarato delle persone, da affiancare a quelli usuali tratti da metodologie d’indagine tradizionali è nata la collaborazione tra Omnicom Pr Group Italia e il Centro di ricerca di neuromarketing dell’Università Iulm.

Allo scopo è stata condotta una ricerca per rilevare gli atteggiamenti impliciti nei confronti di 5 noti brand e successivamente verso i corrispondenti spot istituzionali. Per l’analisi si è proceduto con una prima valutazione verso il brand con la tecnica dell’implicit assocation test (iat) dei “tempi di risposta” (Greenwald, McGhee e Schwartz, 1998), ovvero una potente misura che consente di cogliere le influenze non consapevoli e non intenzionali che gli atteggiamenti hanno sulle risposte dei soggetti. Nell’esperimento l’attenzione del soggetto non è, infatti, focalizzata sull’oggetto dell’atteggiamento, ma sullo svolgimento di un compito, permettendo così di analizzare l’atteggiamento attraverso la performance nel compito stesso.

I risultati dello iat proposto prima della sperimentazione con la visione solo del brand hanno evidenziato che, per esempio nel caso di Ferrero (uno dei 5 brand presi in considerazione), il 75% del campione risultava avere degli atteggiamenti positivi nei confronti del brand, il 25%, invece, un atteggiamento classificabile come non positivo. Dall’analisi dei dati dell’elettroencefalogramma (eeg) si è rilevato che lo spot istituzionale Ferrero aveva una lieve valenza positiva (probabilmente poiché trattava lo scottante caso dell’uso da parte di Ferrero dell’olio di palma), ma un engagement cognitivo molto alto. Confrontando la reazione dell’eeg dei soggetti distinti in base agli atteggiamenti impliciti positivi e negativi (dati iat) si è rilevato come il dato dell’engagement cognitivo risultasse un buon predittore della brand reputation.

A dimostrazione di quanto importante sia integrare l’analisi della brand reputation con indicatori neurometrici si ci può soffermare su alcune contraddizioni rilevate dalle risposte dei soggetti alle domande poste al termine della fase sperimentale neuroscientifica. Alcuni soggetti che avevano dichiarato di apprezzare lo spot istituzionale, in realtà hanno mostrato un dato di atteggiamento implicito molto basso o del tutto neutro, contraddicendo il dichiarato. Confrontando la reazione con l’elettroencefalogramma è emerso come in questi soggetti sia la valenza emotiva sia l’engagement cognitivo fossero tra i più bassi rilevati nel campione.

Insomma il dato neurometrico dell’eeg sembra essere più coerente con l’atteggiamento implicito misurato con lo iat. Infatti, il gruppo che ha attribuito alti punteggi al gradimento dello spot, ma punteggi iat neutri o debolmente positivi, è risultato avere anche performance neurofisiologiche sostanzialmente neutre. L’indagine, che avrà ulteriori sviluppi, sembra individuare due validi indicatori neurometrici per l’analisi della brand reputation: il dato relativo allo iat e agli atteggiamenti impliciti e l’engagement cognitivo misurato con eeg. Si apre quindi un fronte di studio di grande valore soprattutto grazie alla possibilità di avere dati sul coinvolgimento etico e sul valore del brand con tecniche che riusciranno a limitare i bias di ricerca, offrendo alle aziende potenti strumenti per auto valutarsi e quindi modificare il proprio posizionamento.

Vincenzo Russo

Vincenzo Russo è professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing presso lo Iulm di Milano. È fondatore e direttore scientifico del centro di ricerca di neuromarketing Behavior and Brain Lab (Iulm) e direttore scientifico del master in Food and Wine Communication, organizzato in collaborazione con Gambero Rosso, e del Master in Comunicazione e Marketing dello Sport. Oltre a collabora stabilmente come docente al master in management e comunicazione del beauty e del wellness in Iulm, ha diretto progetti di ricerca nazionali e internazionali sui temi riguardanti il rapporto tra emozioni, decisioni e comportamenti di consumo alimentare. Autore di libri tra i quali “Psicologia della Comunicazione e Neuromarketing” (Pearson Editore), uno dei più completi testi italiani sulle neuroscienze applicate al marketing, e di studi sui consumi e il neuromarketing pubblicati su Journal of Consumer Behavior, Frontiers in Neuroengineering, in Food Quality and Preference; Journal of Global Information Management, in European Journal of Information Systems, in Food Quality and Preference, in Risorsa Uomo, e nella Collana di Psicologia, Consumi e Società McGraw-Hill