Il greenwashing nemico numero uno del futuro sostenibile

Redazione03/10/2022

Nel libro “Verde, anzi verdissimo” Rossella Sobrero mette in guardia le imprese dal rischio di annunci e dichiarazioni di principio non solo in ambito “green”, ma in tutte le attività di comunicazione legate alla sostenibilità, se alle spalle non ci sono azioni concrete.

Da un lato il desiderio genuino delle aziende più responsabili di contribuire allo sviluppo di un nuovo modello di consumo, dall’altro il costante rischio di greenwashing che porta a svuotare di significato il termine sostenibilità. Una questione spinosa che il libro “Verde, anzi verdissimo”, edito da Egea affronta con coraggio e consapevolezza: l’autrice Rossella Sobrero, presidente di Koinètica e di Ferpi, non si limita a fotografare lo scenario attuale ma condivide dati, buone pratiche e strumenti utili ad aziende e professionisti della comunicazione per evitare il rischio di greenwashing.

Bisogna scegliere con attenzione parole e immagini, comunicando solo quello che serve

Rossella Sobrero è presidente di Koinètica e di Ferpi, docente di Comunicazione pubblica e sociale all’Università degli Studi di Milano e di Marketing non convenzionale all’Università Cattolica di Milano. Dal 2005 organizza il Salone della Csr e dell’innovazione sociale.

Vero è che la trasformazione sostenibile non può e non deve essere prevalentemente un’attività di comunicazione, ma proprio perché spesso i termini sono utilizzati a sproposito, diventa fondamentale porre la massima attenzione ai contenuti e alle modalità con cui si rende noto il proprio impegno sociale e ambientale. Dal packaging alle campagne sui media, dai messaggi in rete ai bilanci sociali: molti strumenti di comunicazione possono contenere immagini e parole non corrette, come green claim eccessivamente enfatici o immagini che evocano valori non rispondenti alla realtà. Anche perché gli stakeholder sono diventati più diffidenti: i dipendenti chiedono coerenza tra il dichiarato e l’agito; le associazioni del terzo settore pretendono azioni concrete; i clienti esigono informazioni sull’intera filiera; gli investitori premiano la trasparenza. Con il contributo di 20 interviste a studiosi, esperti di settore, esponenti di istituzioni nazionali e internazionali, il testo sembra lanciare un vero e proprio grido di allarme sul tema. Ne abbiamo chiesto conferma all’autrice.

Secondo il suo punto di vista privilegiato il greenwashing – una sorta di avversario storico dei movimenti ecologisti – è in crescita.

La sostenibilità è oggi un argomento di cui tutti parlano. E quindi più se ne parla più aumenta il rischio di greenwashing. Ma cresce anche la consapevolezza degli stakeholder: tutte le organizzazioni sono sempre di più “case di vetro” esposte al giudizio dei portatori di interesse. Annunci e dichiarazioni di principio possono essere rischiosi se alle spalle non ci sono azioni concrete.

La diffusione di iniziative indebite o addirittura ingannevoli potrebbe minare la fiducia dei consumatori a tutto tondo. Cosa si sente di consigliare a un’azienda che intenda avviare un vero percorso di sostenibilità?

Il greenwashing rappresenta un pericolo reale perché incrina la fiducia nei confronti di tutte le imprese, anche di quelle che hanno fatto della sostenibilità un driver strategico. E, come sappiamo, la fiducia, una volta persa, è difficilmente recuperabile. Un’impresa che vuole essere considerata responsabile può dotarsi di alcuni strumenti che aiutano a condividere con gli stakeholder i principi a cui si ispira: per esempio il codice etico, il codice di condotta, le policy aziendali. Ma anche le certificazioni e i bilanci di sostenibilità sono strumenti utili per dare conto del proprio operato.

I consumatori sono diventati più critici e meno influenzabili rispetto al passato. Quali sono gli strumenti a loro disposizione per riconoscere chi è realmente attento alle tematiche sociali e ambientali?

Il greenwashing colpisce in particolare i consumatori più “deboli”, quelli che hanno meno strumenti culturali per poter capire quando un messaggio non è corretto. Esistono autorità a cui ci si può rivolgere: in Italia sono presenti due soggetti importanti, uno pubblico e l’altro privato, che hanno il compito di tutelare il mercato. Sono l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e l’Istituto dell’Autodisciplina pubblicitaria. Per quanto attiene i riferimenti normativi, non esiste. un’unica legge che normi la comunicazione della sostenibilità ma diversi regolamenti e direttive che a livello europeo e nazionale tutelano il mercato da comportamenti scorretti.

Oggi di sostenibilità si parla moltissimo e c’è il rischio di una sorta di “inflazione” nell’uso del termine.

Se sostenibilità è tra le buzzword più diffuse degli ultimi tempi dobbiamo evitare che questa parola venga svuotata di significato. Bisogna quindi utilizzarla solo quando alle spalle ci sono comportamenti corretti, scegliere con attenzione parole e immagini, ridurre il rumore di fondo comunicando solo quello che serve. Comunicatori e giornalisti possono fare molto: per esempio investire il tempo necessario per approfondire le informazioni, i dati, le fonti e riflettere sulle ricadute che le parole utilizzate possono avere.

Tra le “20 interviste imperdibili” il professore Caruso parla di engagement del consumatore e della necessità che le imprese trovino il modo di coinvolgere i consumatori sul tema della sostenibilità. Cosa ne pensa?

Una comunicazione non corretta può indurre i consumatori ad acquistare prodotti poco sostenibili oppure spingerli ad adottare atteggiamenti non corretti. I messaggi che le imprese inseriscono nella loro comunicazione possono essere utili per “educare” i consumatori ma devono essere chiari, semplici, diretti. È importante far capire che la sostenibilità non è una delle opzioni che abbiamo ma è l’unica scelta possibile.

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