Dopo il Pandorogate più trasparenza e reporting

C’è sicuramente un aspetto positivo che il caso Ferragni- Balocco e le sue successive declinazioni hanno portato in evidenza, e che non era poi così scontato, ovvero che fare del bene offre numerosi vantaggi anche alle aziende. Il cosiddetto Pandorogate dimostra in maniera drammaticamente incontrovertibile la stretta correlazione tra fiducia (anche come conseguenza di azioni sociali), posizionamento e ricavi.

La scarsa chiarezza nella comunicazione e l’opacità nella conduzione dell’operazione hanno alimentato dubbi e illazioni, danneggiando da un lato la reputazione di tutti i soggetti coinvolti e dall’altro, per qualcuno di questi, provocando anche un significativo danno economico.

Questo caso scuola rende evidente l’importanza della rendicontazione non finanziaria, così come già la recente normativa sulla Corporate Sustainability Reporting (Csrd) impone alle aziende, nella misura in cui sono invitate a riferire sull’impatto ambientale e sociale delle loro attività e sull’impatto aziendale dei loro sforzi e delle loro iniziative ambientali, sociali e di governance. A ciò si aggiunge il nuovissimo disegno di legge sulla beneficenza che, per quanto sia destinato agli influencer, e tra questi solo a quelli con innumerevoli follower, possiamo auspicare che diventi un punto di riferimento, una linea guida per tutti coloro che d’ora in poi si approcceranno alla materia.

Il ddl “Ferragni” da un lato, con gli obblighi per produttori e promotori di indicare il destinatario dei proventi e le finalità e la quota destinata all’attività benefica, e la Csrd dall’altro aprono quindi un importante capitolo per la trasparenza e la responsabilità tra il mondo del non profit e le aziende. Due fronti che, seppur distinti, convergono verso un obiettivo comune: costruire un rapporto di fiducia con il consumatore, sempre più attento all’impatto sociale e ambientale delle proprie scelte.

La superficialità e la leggerezza, anche senza malevolenza, con cui diversi soggetti stanno operando nell’ambito della charity si scontreranno con la necessità di dotarsi di un’infrastruttura sempre più consistente e solida volta a tracciare e rendere conto. Non sarà difficile immaginare come i consumatori saranno più propensi a destinare le proprie risorse finanziarie verso coloro che metteranno a disposizione dati coerenti e comparabili anche attraverso modalità di divulgazione semplici e chiare.

L’asticella inevitabilmente si alzerà sempre più imponendo a chi vorrà utilizzare la leva sociale della beneficenza degli standard etici sempre più alti, una comunicazione trasparente e una rendicontazione rigorosa. Sottrarsi a questo approccio – anche per chi non vincolato legalmente – vorrà dire non essere credibile e quindi non degno di fiducia. Trasparenza e reporting diventano quindi le parole chiave su cui costruire una relazione proficua: non rappresentano solo un obbligo legale ma un dovere morale verso la società.

M'Buyi Wa Kalombo