Per mappare engagement e involvement, che sono strettamente correlati alla loyalty e ricorrono in praticamente tutte le campagne promozionali, va sempre tenuto presente che sono sentimenti che si inquadrano nel più vasto contesto della relazione che le persone intrattengono (a vario titolo, modo e intensità) con azienda-marca-prodotti/servizi, ma con un distinguo fondamentale.
Mentre la loyalty è un sentimento portato da una persona alla marca (e congiuntamente all’azienda), quando parliamo di involvement e di engagement nel contesto promozionale questi due costrutti si riferiscono alla meccanica che ne richiede l’impiego.
Sia involvement sia engagement sono termini che hanno una lunga storia nella psicologia e sono studiati da molto tempo. In anni recenti, dai contesti originali sono stati trasferiti nel mondo delle promozioni e sono entrati nel linguaggio del marketing (alla fine degli anni ’80) non senza perdere parte del loro significato originale che è bene ripercorrere. Una nota esplicativa: dato che in italiano, nel linguaggio tecnico-operativo del marketing vengono adottati senza traduzione i termini inglesi, la ricostruzione dell’etimologia riguarda necessariamente la parola in inglese.
La definizione e le caratteristiche dell’engagement
I precursori dell’engagement
La definizione e le caratteristiche dell’involvement
La definizione e le caratteristiche dell’engagement
Iniziamo da engagement. L’etimologia del termine inglese mostra il mutare di significato nei secoli da “impegnare (il nemico) in battaglia” attestato ai primi del ’600 a “promettere in matrimonio” nel ’700 e quindi ancora “assegnare a un incarico” nell’800. L’origine della parola, a fine ’400, è però francese nel senso di “dare in pegno”. Nel significato di impegno intellettuale e morale il termine ricorre nella filosofia e in particolare nel movimento esistenzialista degli anni ’40 del ‘900.
In psicologia engagement debutta nel 1990: fu il professor William A. Kahn a parlarne per primo nell’ambito della psicologia del lavoro, riferendosi a quanto ogni persona metta di sé nel lavoro, a quanto si adoperi nello svolgimento di un compito assegnato. Il suo articolo pubblicato su Academy of Management Journal e intitolato “Psychological conditions of personal engagement and disengagement” ha aperto un nuovo campo di studi che si è enormemente espanso. Una recente pubblicazione, intitolata “Psychological engagement theory” edita nel 2022 e redatta da Yoesoep Edhie Rachmad, è utile per avere una conoscenza più approfondita del concetto di engagement in vari campi come il lavoro, la famiglia, la scuola, le relazioni sociali. In estrema sintesi l’engagement è una forma di impegno cognitivo ed emozionale che richiede attenzione, entusiasmo, dedizione a quel che si sta facendo (si tratti di un compito di lavoro da svolgere, di un impegno di cura di un familiare, o di altre attività). La teoria dell’impegno psicologico ipotizza che ci sia una correlazione fra questo e la soddisfazione emotiva e persino un senso di benessere che se ne trae quando tutto avviene nel segno positivo, ossia si determina una restituzione, una sorta di gratificazione. L’engagement si sviluppa in un contesto che deve essere motivante, che deve offrire una ragione che, a sua volta, deve essere incoraggiata e ricompensata. La persona che si immerge in un compito deve percepire che il suo sforzo è riconosciuto, che il suo contributo ha un valore e a questo valore deve corrispondere una sorta di premio. La comunicazione deve essere chiara, a ogni avanzamento nell’impegno, in funzione delle performance ottenute, il livello raggiunto va dichiarato e riconosciuto.
Come detto, l’engagement è un costrutto che incide profondamente sugli assetti cognitivi ed emotivi della persona:
- se lo consideriamo nell’ambito dei programmi promozionali (soprattutto quelli di lungo periodo), l’individuo ha bisogno di veder riconosciuto il proprio sforzo (per esempio gli acquisti ripetuti per cumulare punti o livelli);
- se consideriamo l’engagement profuso nella relazione con il brand (per esempio il tempo dedicato a dare like, a postare commenti positivi, a interagire in vario modo nella community del brand, a usare app per partecipare a giochi ecc.), vediamo che esso finisce per instaurare un senso di appartenenza nella misura in cui la gratificazione viene valutata dal soggetto effettivamente adeguata al suo impegno. [torna al sommario]
I precursori dell’engagement
Sull’asse consumatore-azienda-brand-prodotti, l’engagement non nasce spontaneamente. C’è bisogno di un precursore indispensabile, ossia la fiducia verso l’azienda e la sua offerta. L’azienda gioca un ruolo decisivo (la sua identità, credibilità e reputazione) tanto quanto la notorietà e la promessa del brand. La campagna di promozione può avere un ruolo di innesco, ma questo si esaurisce velocemente se manca il sostegno della fiducia. Non solo, a fronte dell’impegno richiesto dall’azienda deve essere chiaro il percorso da seguire, i livelli e l’intensità dello sforzo richiesto nonché la ricompensa prevista. L’azienda potrà ottenere risultati di valore (in chiave di vendite, di preferenza e fedeltà al brand, di coinvolgimento e di zelo del cliente nel farsi promotore del brand presso le proprie relazioni, nel fornire all’azienda feedback su prodotti e servizi ecc.) quanto più tutto il progetto è percepito positivamente ed è davvero sentito come appagante. Se la gratificazione (aspetti psicologici) e il reward (aspetti materiali) sono fondamentali, non lo sono meno gli strumenti (per esempio un help desk) che il consumatore si aspetta gli vengano messi a disposizione (c’è infatti bisogno di mediatori, di soluzioni che possano fungere da touchpoint su cui fare leva).
Il dedicarsi è un atto che richiede uno sforzo e del tempo che il consumatore sa giudicare, da qui la richiesta di forme di mutuo aiuto (tipiche delle brand community) e di scambio fra i partecipanti al progetto promozionale (come la cessione reciproca di punti, su cui si potrebbe aprire un discorso più ampio poiché hanno un valore monetario). Un altro aspetto, che incide positivamente sulla gratificazione, soprattutto quando l’impegno richiesto ha una lunga durata e il raggiungimento dei livelli superiori richiede un incremento negli acquisti o una maggiore frequenza di questi, è il riconoscimento ad alta visibilità personale e/o collettiva. Ossia se l’azienda e il brand hanno una community di riferimento (fatti salvi gli adempimenti previsti dalla normativa sulla privacy) questa può essere impiegata per supportare gli sforzi delle persone impegnate nello schema promozionale (per esempio mettendo a disposizione una community app, giochi come l’escape room che richiedono una intensa collaborazione fra partecipanti, soluzioni che premiano il goodwill, la buona predisposizione alla cooperazione, l’incoraggiamento e la complicità profusi verso altri giocatori), oppure offrendo forme di protagonismo (per esempio citando la performance di chi ottiene punteggi alti dopo aver superato prove di abilità quando progetti di gamification si innestano nello schema promozionale, stimolando quindi emulazione), oppure ancora offrendo di condividere esperienze fatte con i reward ottenuti fino a quel momento (talvolta anche in chiave di azioni charity o non-profit a beneficio di scuole e entità locali).
Se per la loyalty i facilitatori sono customer inspiration, customer intimacy, customer complicity, per l’engagement (trattandosi di un impegno psicologico che è ad un tempo cognitivo e emotivo) è altrettanto importante il ricorso a esperienze che facciano intuire aspetti di appagamento e gratificazione a fronte dell’impegno richiesto (ricordiamo che le esperienze constano di 7 tipologie: sensoriale, emotiva, cognitiva, pragmatica, lifestyle, relazionale, social), ma non solo.
La meccanica del gioco deve attivare un’esperienza considerata valida dal target a cui è diretta l’operazione promozionale, come già indicato la condivisione sociale gioca un ruolo importante, non meno valido è il riconoscimento per quanto già conseguito. La comunicazione a ogni partecipante dovrebbe diventare occasione non solo per rendicontare il saldo dei punti ottenuti, ma sprone e incentivo per proseguire nel tempo, rafforzando l’intenzione del cliente di superare altre prove. In ambito di esperienza conta molto anche il far pregustare il reward e renderlo vicino e raggiungibile (minimizzando gli ostacoli e facendo immaginare al cliente cosa potrebbe fare con i reward disponibili alle varie soglie di punti). In particolare se il reward consiste in prodotti di brand noti si può far leva sulla lifestyle experience. [torna al sommario]
La definizione e le caratteristiche dell’involvement
L’etimologia del termine inglese aiuta a capire questo costrutto che ha una storia altrettanto lunga di engagement. Passa dalla lingua francese all’inglese nel tardo XIV secolo nel senso di avvolgere, avviluppare (conservando il significato primario che aveva in latino), un secolo dopo troviamo involvement nel senso di includere, essere preso dentro. È un termine che ha una bassa frequenza di utilizzo fino alla metà del Novecento, quando comincia a essere impiegato nel contesto della psicologia con il significato di grado, o livello che designa “quantitativamente” il coinvolgimento, il proprio investimento di attenzione, capacità, tempo, azione ecc. in una attività, compito, scopo.
L’interesse, il desiderio, la motivazione (per esempio i valori, il senso del dovere, il senso civico, l’ideologia perseguita), il personale convincimento (collegato a tratti psicologici) determinano il grado di coinvolgimento e conseguentemente il comportamento che la persona terrà in termini di engagement. La situazione, le circostanze possono spingere la partecipazione o demotivarla.
Nell’ambito del marketing e più specificatamente per le operazioni promozionali, l’involvement precede e condiziona l’engagement nonché il suo esito in termini di performance. Ossia, il consumatore che si fa coinvolgere in uno schema promozionale e si impegna a portarlo a compimento ottiene un certo tipo di risultato (per sé si tratterà di un accumulo di punti o il raggiungimento di livelli, per l’azienda sarà un risultato economico, per il brand potrà essere valutato in termini di notorietà, di affettività), che a sua volta gli fa conseguire ricompense (un premio materiale o immateriale).
Non è semplice isolare gli antecedenti dell’involvement poiché sono strettamente personali (il carattere della persona e altri aspetti psicologici come, per esempio, sentire o meno il peso della social influence) e dipendono dalla situazione e dalle circostanze (per esempio, propria situazione economica, bisogno di un certo tipo di prodotto, percezione della sua importanza, consapevolezza del rischio di sbagliare acquisto, forte preferenza per una marca che inibisce l’effetto di un’offerta alternativa per quanto allettante ecc.) in cui il soggetto si trova.
In uno studio del 1986 intitolato “Conceptualizing involvement” realizzato da Judith Lynne Zaichkowsky e pubblicato nel Journal of Advertising (della stessa ricercatrice c’è anche “Measuring the Involvement Construct” pubblicato nel 1985 sul Journal of Consumer Research) l’autrice delinea le caratteristiche del coinvolgimento, individuando tre fattori.
Il primo riguarda la persona, il suo sistema di valori, precedenti esperienze, altri aspetti che possono renderla disponibile al coinvolgimento, o al contrario la definiscono come persona avoidant (si veda per esempio lo studio di M. Mende, R. N. Bolton, M. Jo Bitner pubblicato nel 2013 nel Journal of marketing research e intitolato “Decoding customer-firm relationships: how attachment styles help explain customers’ preferences for closeness, repurchase intentions, and changes in relationship breadth” che analizza le quattro principali tipologie di persone, sulla base degli stili di attaccamento: secure, ambivalent, avoidant, disorganized)
Il secondo fattore riguarda lo stimolo che dovrebbe convincere la persona a lasciarsi coinvolgere (per esempio esso può essere un messaggio pubblicitario, un’offerta promozionale, l’indicazione di un influencer, il consiglio di una persona amica, altro ancora). Lo stimolo, nel caso di una campagna promozionale (ossia le varie tipologie di manifestazioni a premio), opera in tre ambiti:
- la comunicazione azienda/brand che fa leva in prima istanza su aspetti fiduciari e di preferenza verso il brand garante del prodotto/servizio, anche se bisogna considerare che vi sono molte e diverse tipologie di prodotti e servizi con diverso grado di importanza economica e di coinvolgimento psicologico, per cui la comunicazione svolge vari compiti: persuasione, informazione, divertimento, intrattenimento ecc.
- la relazione che lega il cliente alla marca e/o al retailer che, da un lato (per esempio tramite il customer knowledge management) fornisce le informazioni necessarie per strutturare lo stimolo in modo che sia compreso, accettato e gradito ai destinatari e, dall’altro lato, fornisce un segnale di ritorno per far capire all’azienda l’esito dello stimolo non solo in termini di vendita, ma di continuità di adesione alla relazione con il brand/azienda;
- la vendita ossia il perseguimento da parte dell’azienda di un beneficio economico immediato, ma che deve guardare anche al medio-lungo periodo in un’ottica di conservazione di quegli elementi che motivano i clienti nel proseguire la preferenza e l’adesione al mondo della marca, ergo la vendita deve risultare soddisfacente per il consumatore.
Il terzo elemento che ha un impatto sul coinvolgimento è il contesto, la situazione in cui si trova la persona quando riceve lo stimolo (per esempio è vicina o lontana al momento in cui decide di fare un certo acquisto, oppure non è del tutto interessata al prodotto quando riceve lo stimolo). La construal-level theory-Clt, nota anche come teoria della distanza psicologica, è utile per capire se il consumatore riesce a immaginare un reward in un tempo differito rispetto all’acquisto e se può sentirsi coinvolto.
Lo stimolo può avere una conseguenza positiva sulla memoria, portando il soggetto a ricordare brand e offerta, ma non sempre è così forte da indurlo a un’azione concreta come l’effettivo acquisto.
L’involvement è dunque il fattore chiave su cui fare leva se si vuole ottenere il necessario impegno (engagement) per portare a compimento un progetto promozionale. Nella definizione di uno schema promozionale (la meccanica, il tempo necessario per espletare tutti i passaggi richiesti dalla tecnica scelta, i livelli a fronte dell’impegno economico, il reward e altri aspetti ancora) l’involvement va posto in relazione con:
- effort (l’energia fisica e mentale per fare un tentativo, per mettere in atto un’azione, la fatica a proseguirla) che le persone sanno valutare in riferimento alla propria situazione presente e nell’immediato, soppesando quindi se lo sforzo richiesto è ragionevolmente motivante e proporzionato a quanto si può ottenere;
- commitment (l’impegnare se stessi, il promettere di fare una definita azione), ossia il commitment è praticamente l’involvement in azione, è la sequenza di attività che la persona esegue.
Ogni consumatore, data ormai la quantità di schemi promozionali a cui partecipa annualmente, sa calcolare con una certa precisione quale sforzo una campagna gli richiede (in termini economici), quanto si dovrà impegnare (quante e quali azioni dovrà compiere), quanto si dovrà sentire coinvolto e per quanto tempo. Ad attenuare giudizi negativi (per esempio l’onerosità dell’impegno e del coinvolgimento) possono intervenire:
- i sistemi di reward;
- la comunicazione effettivamente personalizzata;
- azioni come il riconoscimento pubblico dei risultati ottenuti;
- soluzioni di mutuo aiuto fra i partecipanti;
- il sostegno dell’help desk.
Tuttavia il successo di una campagna promozionale parte proprio dall’aver considerato in anticipo il punto di vista dei destinatari equilibrando involvement, effort, engagement e commitment. [torna al sommario]