Esiste ancora il servizio e il piacere d’essere serviti? Dopo oltre un secolo di do it yourself che traveste un’incombenza in un simpatico momento di bricolage, che incita a servirsi da soli (dal supermercato ad altre tipologie di negozio in cui è il cliente che fa il lavoro di tirare giù il prodotto dagli scaffali, metterlo nel carrello, portare il tutto alla cassa e con i sistemi di self-check out pagare e uscire), a improvvisarsi bancari o banchieri che, dal proprio smartphone, compiono le operazioni che un tempo gestiva lo sportellista e investono in criptovalute con la disinvoltura di un agente di borsa, a utilizzare da soli le vending machine e le pompe di benzina e via elencando le molteplici situazioni in cui non c’è più un umano in carne e ossa che ci serve, ma ci si deve arrabattare da soli per ottenere ciò che si desidera e, al massimo, si può tentare di dialogare con un virtual assistant, un umanoide mosso da Ai, anche per ordinare un caffè al bar. Dove è finito il servizio?
Ormai si è ridotto a pochi campi in cui un esperto eroga un’attività manuale (la parrucchiera che ti “fa la tinta”, il chirurgo che opera), o una consulenza verbale (per esempio un avvocato, uno psicologo). Dunque settori in cui ci vuole ancora una qu qualificazione, una specifica competenza e a cui ci si rivolge al fine d’essere serviti (talvolta rimanendo del tutto passivi, talaltra collaborando attivamente). Dove è finita la relazione con chi ci serve? Ossia quella corrente di empatia, sensibilità, capacità di consigliare e di essere complici entro cui dovrebbe scorrere una customer experience fatta di interazioni verbali e comportamentali fra cliente e assistente alla vendita. In letteratura accademica al concetto di servizio sono state date varie definizioni quando si è cominciato a sistematizzare l’economia dei servizi (nonché il correlato marketing dei servizi) e anche il concetto di cliente è cambiato diventando parte integrante del processo di gestione della qualità (si veda il classico “Service Management” del 1984 di Richard Normann).
Senza ripercorrere la storia del concetto di servizio da cui dovrebbe dipendere la soddisfazione del cliente e la sua fiducia in un brand, mi fermo a qualche considerazione. Oggi ci hanno abituato a non essere più serviti, ma ad arrangiarci da soli in qualsivoglia circostanza. Il servizio è diventato quello che le persone erogano a se stesse utilizzando app e soluzioni informatiche “abilitanti”. Facciamo il lavoro che una volta in molti facevano per noi e di questa “indipendenza gestionale” c’è chi va persino fiero. Il servizio ha un valore economico, ma nessuno ci ripaga quando facciamo tutte le operazioni da soli. Le aziende tendono solo a spianarci la strada con una usabilità facilitata lungo tutto l’iter. Se non ci sono stati intoppi ne usciamo soddisfatti di noi stessi, con l’esperienza incrementata al pari passo della fiducia in noi stessi. Fluidamente l’azienda ci farà lavorare sempre di più e la ripagheremo con fedeltà accresciuta che si traduce in belle cifre nei bilanci, contenti di servire le aziende.

