Quando Ryanair annunciò il lancio di Prime, a marzo 2025, l’idea sembrava destinata a scuotere il settore del trasporto aereo low-cost. La sua architettura si basava su un modello di abbonamento annuale da 79 euro pensato per offrire ai clienti abituali una serie di vantaggi — dai posti riservati alla copertura assicurativa inclusa, fino a sconti esclusivi su voli e servizi accessori — con la promessa di far risparmiare oltre cinque volte il costo della membership stimando che un abbonato potesse risparmiare fino a €420 volando 12 volte l’anno. L’iniziativa fu specificamente lanciata come un trial limitato a soli 250.000 clienti, disponibili in base all’ordine di iscrizione.
Per una compagnia che ha costruito la propria reputazione sul mantra “paghi solo ciò che usi” l’introduzione di uno schema subscription-based rappresentava una svolta inedita. Ryanair puntava a generare ricavi ricorrenti e a testare un nuovo modo di fidelizzare i passeggeri, con l’obiettivo dichiarato di raggiungere 250.000 iscritti entro la fine della fase pilota. Le cose, però, non sono andate così. Dopo otto mesi di test, a fine novembre, la compagnia ha annunciato la chiusura del programma. Gli iscritti, come dichiarato dalla società, si sono fermati intorno ai 55.000, pari al 22% dell’obiettivo stabilito: troppo pochi per sostenere la struttura del modello.
E soprattutto, gli abbonati hanno utilizzato i benefici molto più del previsto, invertendo completamente il rapporto tra ricavi e costi. Il conto economico è stato impietoso: circa 4,4 milioni di euro incassati dalle quote annuali, contro oltre 6 milioni di vantaggi erogati. Il risultato è stato un bilancio in rosso e la decisione, inevitabile, di archiviare l’esperimento. Dara Brady, Chief Marketing Officer di Ryanair, ha dichiarato esplicitamente che il trial “è costato più denaro di quanto ne ha generato” e che “il livello di iscrizioni non giustificava l’impegno operativo richiesto”. La compagnia ha assicurato che i passeggeri con abbonamenti attivi continueranno a ricevere le offerte sulle tariffe e gli extra fino ad ottobre 2026 quando il piano Prime terminerà del tutto.
Il mancato raggiungimento della scala economica ha avuto implicazioni dirette sulla sostenibilità finanziaria. Ryanair necessitava di un numero significativamente maggiore di abbonati per diluire sia i costi fissi operativi sia i costi variabili associati al tasso di redemption dei benefit. La gestione di un programma strutturalmente complesso per un segmento così esiguo si è dimostrata economicamente ingiustificabile. La massa critica non era solo un obiettivo di marketing, ma un requisito indispensabile per trasformare Prime da un centro di costo in un centro di profitto. Il modello di business di Ryanair è un esempio paradigmatico caratterizzato dalla costante offerta della tariffa base più bassa possibile, che funge da unique selling point.
Per mantenere la leadership in termini di prezzo e generare al contempo un margine operativo elevato, la strategia aziendale ha sempre basato il suo focus sulla conversione di ogni servizio aggiuntivo in un centro di profitto. La selezione del posto, il bagaglio e altre comodità sono pilastri fondamentali del revenue stream ancillare di Ryanair. In questo contesto, qualsiasi beneficio che offra un servizio precedentemente a pagamento, come i posti riservati gratuitamente, rappresenta una diretta e potente cannibalizzazione del margine.
L’introduzione di Prime, con i suoi benefit, ha essenzialmente messo a rischio la profittabilità di uno dei motori finanziari più importanti della compagnia. Ma la storia di Ryanair Prime non è solo un caso aziendale: è un esempio perfetto delle fragilità dei modelli di subscription quando non sono calibrati sulla realtà del comportamento del cliente. La chiusura di Prime non è stata un incidente isolato, né un errore di comunicazione. È stata la sintesi d’incontro di tre elementi:
- Un pricing troppo basso rispetto ai benefici proposti.
La natura “flat” del modello — paghi una volta, usi quanto vuoi — rendeva l’abbonamento vulnerabile all’uso intensivo. E infatti è successo: i frequent flyer hanno sfruttato ogni aspetto del pacchetto, abbattendo i margini dell’operazione. - Una scala mai raggiunta.
Il programma aveva bisogno di avvicinarsi a un quarto di milione di membri per funzionare economicamente. Con 55.000 iscritti, la massa critica non è mai arrivata. - Una tensione evidente con il dna Ryanair.
La compagnia irlandese è l’incarnazione del modello “no frills”: ogni extra si paga. Ryanair ha storicamente basato il suo successo sulla massimizzazione dell’efficienza dei costi e sulla monetizzazione aggressiva dei servizi ancillari. Un’offerta che concentra tanti benefici in un unico prezzo fisso — per di più contenuto — crea una distorsione rispetto alla promessa core del brand. La loyalty non può contraddire l’identità dell’azienda. In un modello dove ogni servizio extra è monetizzato, vendere un pacchetto che include molti di quei servizi a un prezzo unico e basso crea una frizione culturale prima ancora che economica. In parole semplici: Prime era troppo generoso per venire da Ryanair: sembrava quasi un prodotto “contro Ryanair”.
Il valore di un esperimento che non ha spiccato il volo
La chiusura di Prime, dopo un trial di soli otto mesi, non è un segno di debolezza di Ryanair, ma al contrario, ne riafferma la disciplina finanziaria e la resilienza del suo modello puro. La rapidità con cui il programma è stato interrotto dimostra che la compagnia è disposta a eliminare chirurgicamente qualsiasi iniziativa che non superi i rigorosi test di redditività, indipendentemente dalla sua potenziale innovatività di marketing. È stato quindi un esperimento — coraggioso, se visto nel contesto del modello low-cost — che ha mostrato cosa accade quando si forza un modello di business oltre i suoi confini naturali.
Il vero insegnamento non è non fare subscription scheme ma non fare subscription scheme incoerenti. Non è non innovare, ma innovare sapendo anticipare il comportamento reale dei clienti, non quello sperato. L’esperienza di Ryanair Prime ci ricorda una verità semplice: la loyalty funziona solo quando crea valore per tutti — cliente, azienda e brand — in modo equilibrato, sostenibile e coerente.
Giambattista Marzi
Dopo una carriera come manager in multinazionali, ha intrapreso il ruolo di consulente di alta direzione, sviluppando competenze strategiche nel marketing. Affianca con passione i giovani talenti in qualità di mentor, facilitando il loro ingresso nel mondo del lavoro. Esperto di loyalty, firma articoli su Promotion, approfondendo trend e best practice del settore.

