L’accordo tra Disney e OpenAi segna un passaggio rilevante nel modo in cui i grandi detentori di proprietà intellettuali affrontano l’intelligenza artificiale, spostando il baricentro dal controllo difensivo alla co-creazione sorvegliata. Al centro dell’intesa c’è una licenza abilitante e non una cessione di diritti: Disney concede l’utilizzo dei propri personaggi di fantasia, dall’universo Disney a Pixar, Marvel e Star Wars, esclusivamente all’interno di specifici ambienti tecnologici come ChatGpt immagini e Sora, mantenendo piena titolarità sulle intellectual properties (ip) e sugli sfruttamenti commerciali tradizionali.
La struttura dell’accordo chiarisce il cambio di paradigma: Disney non monetizza vendendo i diritti ma investe direttamente nell’infrastruttura Ai, peraltro con un impegno economico rilevante, per presidiare un nuovo spazio di distribuzione e interazione creativa. La scelta di limitare la licenza ai personaggi e di escludere attori, voci e likeness reali, riduce in modo significativo il rischio giuridico legato al diritto all’immagine e ai contratti sindacali, rendendo l’operazione sostenibile sul piano legale.
Il punto più innovativo riguarda la gestione dei contenuti generati dagli utenti. La fan art e i fan video, storicamente mal tollerati o repressi in modo selettivo, entrano ora in una zona regolata: la creazione è autorizzata ma solo all’interno di un perimetro definito, mediato dall’Ai e dalle sue condizioni d’uso. L’utente può generare e condividere contenuti derivati, senza acquisire diritti di proprietà o possibilità di sfruttamento commerciale autonomo. Il modello ricorda quello delle piattaforme di gaming come Roblox o Fortnite, dove la creatività è incentivata ma resta incardinata in un sistema proprietario.
Dal punto di vista del licensing tradizionale, l’operazione apre a nuove categorie di licenza legate alla generazione algoritmica, alla creazione basata su prompt e alla distribuzione social di output Ai. Per Disney si tratta di una forma di cannibalizzazione controllata: consentire ai fan di “giocare” con i personaggi prima che lo facciano strumenti non autorizzati, imponendo regole, tracciabilità e tutelando il proprio brand. In prospettiva, l’ipotesi di integrare questi contenuti in ambienti curati, come una possibile sezione dedicata su Disney+, trasformerebbe la piattaforma da semplice servizio di streaming a editore e curatore di user generated contents (ugc), riducendo i rischi tipici delle piattaforme aperte.
Sul piano industriale, l’accordo anticipa uno spostamento della fase di ideazione verso un laboratorio diffuso, che non sostituisce il lavoro degli autori e dei creativi ma dove pubblico e macchina contribuiscono alla sperimentazione di format, stili e narrazioni. Una dinamica che genera inevitabili tensioni con i modelli tradizionali di remunerazione ma che per Disney rappresenta insieme una strategia difensiva contro l’Ai non autorizzata e un’opportunità offensiva di innovazione.
In questo senso, l’intesa con OpenAi può essere letta come un accordo storico: istituzionalizza il fan-generated content, utilizza l’intelligenza artificiale come filtro legale, oltre che come leva di engagement, e sposta il licensing da strumento di tutela a infrastruttura di relazione. Il controllo delle intellectual properties evolve per adattarsi a un’industria culturale sempre più guidata da piattaforme, algoritmi e partecipazione (regolata).

