Behavioral community come database comportamentale

In tempi di big data e di misurazione della relazione valoriale con gli utenti, avere una behavioral community con cui dialogare è il sogno di ogni brand. Ma come integrare meccaniche d’ingaggio e fidelizzazione all’interno di una piazza virtuale non strettamente legata a una marca? Il concetto di community si è trasformato nel tempo divenendo versatile, dalla dimensione orizzontale di marketplace come Ebay a quella verticale delle community la cui adesione è regolata da criteri specifici come, per esempio, il consumo di un certo prodotto. Le community tradizionali si popolano su base sociodemografica: all’interno di un network l’utente stringe relazioni con i propri conoscenti o per aderenza alle opinioni espresse in determinati topic di discussione. L’evoluzione di questo modello è rappresentata dalle behavioral community, piazze virtuali in cui il networking è regolato da passioni e comportamenti comuni. Dal lato utente il vantaggio è di costruire fin da subito una rete più ampia di contatti, basata sulla condivisione di interessi specifici. Dal punto di vista dei partner i plus sono molteplici. Gli utenti si profilano a livello comportamentale al momento dell’iscrizione e iniziano a interagire nella community in base alle passioni indicate. Il processo di qualificazione del contatto è continuo: ogni azione e interazione offre informazioni comportamentali utili per la clusterizzazione degli utenti, e questo permette d’inviare comunicazioni dedicate a target sempre più specifici. La costruzione di un percorso di loyalty diventa essenziale all’interno di una behavioral community, poiché alimenta l’interazione fra gli individui, offre uno strumento ai partner per interagire con i singoli utenti e concorre alla loro continua profilazione. All’interno del network, infatti, è possibile somministrare vantaggi, offerte promozionali, survey, promuovere attività di crowdsourcing. La community si trasforma in un grande database comportamentale che si autoalimenta grazie alla creazione di nuove opportunità per gli aderenti. Un esempio di questo modello è il progetto University Box (universitybox.com), la prima behavioral community dedicata agli studenti universitari italiani. Qui i ragazzi creano reti di contatto basate sulle proprie passioni, si scambiano informazioni e interagiscono con i partner. Si tratta di una community verticale perché dedicata a uno specifico target, i millennial, e allo stesso tempo trasversale perché al suo interno si dialoga secondo interessi differenti. University Box permette ai brand interessati d’intercettare target specifici, identificarne gli ambassador e inviare comunicazioni personalizzate. Inoltre prevede la creazione di eventi che trasformano la relazione digitale in momenti di aggregazione fisica, utile sia per i membri della community sia per la brand awareness dei partner stessi. Il concetto di behavioral community nasce in un momento in cui il mercato è sempre più orientato verso la monetizzazione del dato. In questo contesto le community possono diventare bacini di informazioni comportamentali utili per le aziende; risulta così fondamentale la creazione di un percorso di relazione strategico brand-utente e la misurazione delle interazioni fra gli individui. In sostanza, a chi si rivolgono le nascenti behavioral community? Sia a quei brand che non dispongono di una community di lover proprietaria sia a coloro che vogliono ingaggiare nuovi specifici target.

Fulvio Furbatto