Dai profumi agli immobili Trump è un brand in licenza

Paolo Lucci13/12/2016

Ai fiumi d’inchiostro che scorrono a riguardo del nuovo presidente americano, vo- gliamo aggiungere quello di questa rubrica. Qui ci si occupa di brand e licensing,
e non si può perdere un’occasione così ghiotta per gettare una luce, lontana dal clamore politico e di cronaca, sul modello di business adottato da Donald Trump nella costruzione (ops…) del suo marchio-persona. Il caso di Trump come brand è infatti estremamente interessante per il suo approccio innovativo, adottato sia nel core business immobiliare sia nel cosiddetto licensing di “consumer products”.

La Trump Organization è una divisione interna al gruppo, che tramite una strut- tura standard suddivisa per categorie merceologiche concede in licenza da più
di vent’anni il marchio “Donald J. Trump Signature”. “Trump – The Fragrance”, in licenza all’azienda Parlux Cosmetics, è solo uno degli esempi di un progetto di “luxury licensing”, quel lusso di superficie e solo percepito (sui cui però si basa buona parte del successo dei luxury brand globali rivolti al target di neoricchi) che, passando da linee di abbigliamento e accessori, arriva ai prodotti per la casa e arredamento. Se non stupiscono le collezioni Trump di lenzuola e prodotti tessili per la casa o i materassi Trump, può stupire la collana editoriale “Trump Universi- ty”, manuali di business e management in licenza all’editore Wiley sviluppati sulla base dell’omonima (e controversa) società di business education, che spaziano dalla finanza al marketing. Anche in questo caso il modello è strettamente in licenza: scritti da specialisti e accademici, sono libri “Trump”, in quanto arricchiti da una sua prefazione e da una copertina che alimenta il culto della personalità.

Ma il licensing immobiliare è il modello di business in cui il brand Trump dà il meglio di sé. Trump Luxury Real Estate non è infatti proprietaria di tutti gli immo- bili “firmati” Trump: a Manhattan, per esempio, 12 dei 17 immobili sono solo marchiati “Trump” grazie ad accordi di licenza; sugli immobili in licenza Trump

percepisce una royalty, e oltre a favorire il business in contract di altri licenziatari (per esempio Dorya, licenziataria per mobili e arredi), questo modello limita i rischi connessi con il mercato immobiliare. Forbes riporta al proposito un caso in- teressante, accaduto a luglio con The Trump Ocean Club International Hotel and Tower di Panama City: l’immobiliarista Roger Khafif, proprietario dell’immobile, ha trovato nel 2011 i 220 milioni di fondi per costruire l’immobile grazie al brand Trump e all’hotel annesso, di proprietà di Trump. Costato un terzo dell’investi- mento all’immobiliarista fallito sotto il peso di 2 milioni di debiti, il brand Trump è oggi ritenuto irrinunciabile dai proprietari dell’immobile, che non lo hanno voluto coinvolgere nelle dispute legali che si sono generate: la firma Trump dà valore all’immobile.

A margine quindi delle discussioni sulla ricchezza di Trump, e di quanto pesi il bu- siness in licenza (Bloomberg lo stima tra i 32 e 55 milioni di dollari, su un totale di 2,9 miliardi) il punto focale rimane nell’immenso valore di marca che il “brand Trump” riesce a sviluppare. In un settore in cui il “brand slapping”, lo sbattere

il marchio sul prodotto senza troppi sofismi, non produce più valore aggiunto, Trump sembra avere il tocco di Re Mida.

Paolo Lucci

Tra i maggiori esperti di licensing e brand extension, ha un background professionale che unisce marketing, comunicazione e vendita in aziende come Ferrero, Armando Testa, Disney. Ha fondato BrandJam.it e Milano Licensing Day