Il mercato del lavoro nel settore della comunicazione italiana

Redazione15/11/2019

Il Centro studi Una – Aziende della Comunicazione Unite ha presentato il rapporto sul mercato del lavoro nel settore della comunicazione italiana, centrando l’indagine sulle società che offrono consulenza creativo-strategica, come agenzie creative, digital e social, e che si occupano di contenuti media e multimediali. In particolare, l’indagine ha inteso rilevare caratteristiche ed evoluzione del settore in Italia e il suo contributo all’economia nazionale attraverso l’occupazione generata dalla loro attività.

Il dato rilevante che emerge dallo studio è un comparto che ha visto un incremento consistente a partire dal 2000 (il 62% delle società di comunicazione sono state fondate dopo questa data), aziende che hanno prevalentemente sede nel nord Italia e in particolare a Milano.

Del settore fanno parte per il 95% piccole società indipendenti, mentre il restante 5% riguarda grandi aziende (quasi sempre inserite in network internazionali) che da sole generano però il 60% del fatturato. In Italia, il 42% delle imprese intervistate dichiara un fatturato inferiore al milione di euro (micro imprese), mentre il 48% non super i 10 milioni di euro (piccole imprese).

Dal punto di vista dell’occupazione i dati sono positivi, con un turnover annuale di .assunzioni al 12% contro le cessazioni di forza lavoro al 7%. Il saldo positivo dell’organico (+5%) risulta quindi in linea con le previsioni di crescita del settore, stimate per il 2019 attorno al 6% (in linea con l’anno precedente), superiore alla crescita del mercato dei servizi (+2%) e del pil nazionale (+0,3%).

Il comparto vede come forza lavoro una prevalenza di giovani (47% di età compresa tra i 15 e i 34 anni) e in particolare donne (65% registrato in tutte le fasce d’età). Gli occupati stranieri riguardano il 4% (contro l’11% della media nazionale), mentre il dato si eleva al 9% se si considerano solo le società indipendenti con filiali all’estero.

Un dato interessante si rileva dalla tipologia contrattuale: il 64% riguarda contratti a tempo indeterminato e il 36% contratti diversi, a termine o autonomi. A questo dato si aggiunge il panorama delle consulenze o prestazioni occasionali freelance (21% aggiuntivo). Si tratta quindi di strutture che per la flessibilità del lavoro sono in grado rapidamente sia di adattarsi alle variazioni del mercato sia di attingere a un proprio bacino di forza lavoro.

Un’altra caratteristica del settore è la flessibilità dell’orario di lavoro. Il 26% delle aziende intervistate ha dichiarato di non avere un orario standard e il 36% non applicata alcuno strumento di rilevazione delle presenze e degli orari del personale. Inoltre, il 52% del campione dichiara di ricorrere allo smartworking (il 75% usufruisce dello smartworking uno o due giorni settimana mentre nel 16% dei casi si applica a 5 giorni a settimana).

Anche i benefit aziendali sono stati materia di indagine. Le società intervistate ne prevedono diversi: sono i più diffusi il telefono (62%) e il computer aziendali (60%); seguono i buoni pasto (42%), l’auto aziendale (29%) e l’assicurazione sanitaria (22%). Non meno importante è il dato sulla cura personale del dipendente attraverso servizi educational (18%) o benefit inerenti palestra o sport (10%) o agevolazioni per la nascita dei figli (10%). Infine, è rilevante il dato sui bonus o premi di produzione che riguarda il 78% dei rispondenti.

L’indagine è stata realizzata per iniziativa di Davide Baldi, ceo e founder di Dude, in collaborazione con la Fondazione Rodolfo Debenedetti. Alla stesura del questionario, all’elaborazione dei dati e alla redazione del rapporto hanno partecipato anche Marianna Ghirlanda (responsabile del Centro Studi Una e ceo Dlvbbdo), Paola Monti (research coordinator, Fondazione Rodolfo Debenedetti) e Stefano Del Frate (direttore generale Una).

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