Big Data e privacy rappresentano le nuove sfide per i marketer

Redazione01/04/2014

Grazie all’integrazione di database clienti, web analytic, social media e customer service si può monitorare il cliente lungo tutte le fasi del customer journey, prevedere i comportamenti di acquisto e la profittabilità della clientela

La ricerca su Google dell’espressione “Big Data” è aumentata incredibilmente dall’inizio del 2012. Si ottengono quasi 2 miliardi di risultati, tra i quali abbondano titoli di convegni internazionali e presentazioni di accademici e practitioner del marketing, dell’it e della statistica. Ma qual è il significato di Big Data? Di seguito riportiamo in italiano una delle più fortunate definizioni, coniata da Gartner: “Big Data sta a indicare un patrimonio di informazioni caratterizzato da una grande mole di dati (volume), da estrema varietà di formati e fonti di provenienza (variety) e da un afflusso di dati in tempo reale (velocity), che richiede nuove ed efficaci forme di elaborazione allo scopo di migliorare il processo di decision making e arricchire la conoscenza dei clienti e del business.

In ottica di marketing e di customer loyalty, Big Data significa riuscire a raccogliere e analizzare informazioni sui clienti a 360 gradi, con una perfetta integrazione di database clienti, web analytic, social media e customer service. Con queste tecnologie risulta possibile monitorare il cliente lungo tutte le fasi del customer journey, prevedere in modo accurato i comportamenti di acquisto e la profittabilità della clientela e offrire un servizio personalizzato coerente con i bisogni e i problemi del cliente.

Molte grandi aziende hanno già implementato con successo questo approccio. Nestlé, con 150 milioni di fan su 650 pagine e 2.000 brand ha creato un Digital Acceleration Team: un centro di monitoraggio dei social media capace di produrre 1.500 contenuti on line al giorno, con decine di monitor che ricevono e inviano flussi di dati in real time. Secondo il direttore del digital marketing di Nestlé, il web sta diventando il più grande focus group al mondo, che si svolge ogni giorno in tempo reale. Con l’aiuto dei Big Data, Nestlé è passata dal sedicesimo al dodicesimo posto nell’indice del Reputation Institute, che misura la reputazione dei brand a livello mondiale. Walmart ha sviluppato un vero e proprio ecosistema di informazioni basato sui Big Data. Terabyte di dati giornalieri e Petabyte di dati storici del database clienti s’integrano per ottimizzare l’assortimento locale di Walmart sulla base di quello che i clienti nel vicinato dello store dicono sui social media. Inoltre, è in via di sviluppo un’applicazione per mobile di navigazione in store che consente di attirare l’attenzione dei clienti sui prodotti di cui hanno parlato di recente sui social. Anche le società di consulenza di marketing analysis e customer loyalty stanno cambiando il loro approccio per rispondere all’esigenza delle imprese di ottenere analisi in tempo reale sulla clientela. In questa direzione s’inserisce la partnership tra Oracle e Dunnhumby per ridurre le tempistiche di elaborazione di grandi quantità di dati da giorni e ore a minuti e secondi.

Nordstrom è un department store americano molto attento all’innovazione e orientato a sperimentare nuovi usi della tecnologia nei suoi punti di vendita. Nel tentativo d’integrare on line e off line Nordstrom ha sviluppato un’applicazione per mobile che mostra ai propri clienti le collezioni e i singoli capi, indaga le specifiche preferenze e consente di fare shopping on line. Quando gli utenti accedono allo store fisico con il proprio smartphone tutte le informazioni raccolte via app vengono inviate in tempo reale al personale di vendita, che propone al cliente capi e accessori coerenti con il suo profilo. L’orientamento all’innovazione ha portato anche alla gestione integrata delle scorte di abbigliamento tra canali on line e off line, che risultano aggiornate in tempo reale e verificabili sull’app. Il Nordstrom Innovation Lab, propulsore di queste iniziative all’interno dell’azienda, annovera un team eterogeneo composto da marketer, statistici, ricercatori e ingegneri che stanno sviluppando numerosi esperimenti orientati all’utilizzo delle nuove tecnologie. Tuttavia, nel 2012 Nordstrom ha dovuto fronteggiare anche i rischi connessi ai Big Data. L’implementazione del software RetailNext, che consentiva, tramite connessione wireless, di tracciare il percorso in dettaglio di tutti i clienti nei punti di vendita, ha scatenato non poche polemiche quando Nordstrom ha informato con un cartello in store i propri clienti che era in corso il tracking dei loro comportamenti “fisici”. Sebbene il tracciamento fosse anonimo e legale, gli utenti hanno iniziato a condividere le proprie lamentele su social network e blog con impatti negativi sul sentiment verso il brand. Un esempio che dimostra come, nonostante l’abitudine a essere costantemente tracciati on line tramite cooky e spesso in modo non anonimo, il tracking sul canale fisico venga percepito in modo totalmente differente. Alla luce degli eventi, Nordstrom ha interrotto immediatamente l’esperimento, limitando così i danni alla propria brand image. La privacy della clientela non può più essere vista solo come una questione di carattere legale, ma deve anche essere messa in stretta connessione con la reputazione dell’azienda, stimando le possibili conseguenze positive o negative nel breve e nel medio termine.

Ma in quali ambiti i consumatori sono maggiormente preoccupati per la loro privacy? Bcg ha cercato di rispondere a tale quesito conducendo, nel 2013, un’indagine su 20 paesi (Europa occidentale, Nord America e Brasile, Cina, India, Giappone e otto paesi africani) e 10 000 consumatori. In media il 75% degli intervistati giudica la privacy una “questione importante”. I dati più sensibili secondo gli intervistati sembrano essere quelli di carattere finanziario, ovvero relativi a conti in banca e carte di credito. Anche le informazioni relative ai bambini e alle condizioni di salute sono forte motivo di preoccupazione. Storia degli acquisti passati, email e rilevazione dell’esatta posizione geografica, invece, risultano mediamente preoccupanti. Al contrario, feedback su prodotti e servizi e preferenze sulle marche sono ritenuti dati “poco privati”. I risultati sono abbastanza simili tra i vari paesi (a eccezione del Giappone) e il timore legato al condividere con parti terze informazioni sensibili raggiunge alte percentuali in tutte le fasce d’età prese in considerazione. Tuttavia, l’Italia risulta essere sopra la media globale relativamente alla “willingness to share data”, che misura quanto gli intervistati sono predisposti a condividere i dati personali se hanno la concreta possibilità di prevenirne l’uso fraudolento. Mantenere il cliente consapevole su come i dati vengono immagazzinati e utilizzati aumenta la propensione a rilasciare informazioni personali e può anche avere un effetto positivo sull’immagine dell’azienda. Infatti, dalla ricerca Bcg emerge che, al pari dell’attenzione all’ambiente, anche l’attenzione da parte dell’azienda nei confronti della sicurezza e del presidio dei dati personali dei clienti può essere considerata una componente importante della responsabilità sociale dell’impresa e della brand image. Le preoccupazioni dei clienti nei confronti dell’abuso dei dati personali variano anche a seconda del settore di appartenenza dell’impresa a cui le informazioni vengono rilasciate. Negli Stati Uniti, sempre secondo la ricerca Bcg, i timori legati all’abuso di dati di carta fedeltà in possesso dei retailer o dati in possesso dei brand sono molto basse. Al contrario, i dati rilasciati a istituzioni finanziarie, social network o istituzioni pubbliche sono percepiti come maggiormente “sensibili” e fonte di preoccupazioni. L’indagine Censis dal titolo “Il valore della privacy nell’epoca della personalizzazione dei media”, condotta in Italia e conclusasi a ottobre 2013, si è focalizzata sulla riservatezza dei dati nel mondo on line e ha rivelato che i primi tre timori sulle violazioni della privacy espresse dagli italiani riguardano, nell’ordine: registrazione dei percorsi di navigazione sui motori di ricerca, pubblicazione a proprio nome da terze parti di contenuti sui social media, geolocalizzazione tramite siti.

A livello giuridico, quasi il 54% degli intervistati ritiene che sia doverosa una normativa più severa sulle violazioni della privacy, mentre quasi il 40% pensa che sia inutile o impossibile garantire e proteggere la privacy su internet e sui social network.

La corsa ai Big Data è ormai avviata e si presenta ricca di opportunità per i marketer. Tuttavia, tutelare in modo proattivo la sfera personale del cliente diventa molto importante per non incorrere in problematiche di carattere legale e aggiungere ulteriori associazioni positive alla brand image.

*Osservatorio Fedeltà Università di Parma

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