Retail brick & mortar ed ecommerce crescono ma la modalità tradizionale sarà ancora dominante

La stragrande maggioranza dei prodotti, e anche dei servizi, continua a essere venduta e acquistata in modo tradizionale e così sarà anche per i prossimi dieci anni

Poiché mi sono dato la missione da qualche anno di monitorare e segnalare novità rilevanti a livello internazionale relative al mondo del marketing dei prodotti di marca e delle insegne distributive, ogni tanto vengo assalito dal dubbio di contribuire a creare una certa visione distorta della realtà. È ovviamente molto cool parlare dei progressi fatti dall’ecommerce e dai suoi protagonisti, così come di social media e app innovative. Influenzati da un bombardamento costante di notizie, quasi sempre veicolate ad arte dalle direzioni marketing di player le cui capitalizzazioni di Borsa sono più proporzionali agli investimenti in comunicazione che non agli utili iscritti in bilancio, tendiamo tutti a sopravvalutare la dimensione di determinati fenomeni di marketing afferenti alla sfera del mondo digitale.

Non che sia sbagliato occuparsene. Anche perché, se questo rappresenta il futuro un po’ per tutti, in determinate industry stanno già vivendo oggi quello che sarà il domani per le altre. Pensiamo per esempio al mondo dell’intrattenimento: libri, musica, film, eventi, televisione ed editoria, ma anche al turismo. Una rivoluzione dei modelli di business che abbiamo toccato tutti con mano anche in Italia, dove di sicuro non siamo all’avanguardia nel mondo digitale, se non forse per essere stati dei precursori nel settore della telefonia mobile. Ciò nonostante, la stragrande maggioranza dei prodotti, e anche dei servizi, continua a essere venduta e acquistata in modo tradizionale e così sarà anche per i prossimi dieci anni. La sottovalutazione di questa realtà potrebbe esporci al rischio di non comprendere più il mercato e i comportamenti attuali dei clienti.

Vediamo allora qualche numero per stabilire le giuste proporzioni tra i diversi fenomeni. Un bell’articolo di Bain comparso sulla Harvard Business Review pochi mesi fa parla di una quota dell’ecommerce negli Stati Uniti arrivata in quasi 20 anni al 6,5% dei beni venduti (escludendo alimentare e carburante) e all’11%, se si considerano le prime 30 categorie elaborate da Forrester. Se il tasso di crescita era del 30% all’inizio del nuovo millennio, oggi si è ridotto a circa la metà; il che fa prevedere una quota nel 2030 del 18%, sempre sulle prime 30 categorie di Forrester. Più alta per alcuni prodotti (la musica in testa a tutti) e più contenuta invece per altri, dove a tutt’oggi non ha sfondato (tipico l’alimentare).

Ancora, Bain stima che metà delle vendite realizzate online sempre negli Stati Uniti sia attribuibile a distributori brick & mortar, con nomi come Apple e Macy’s, che hanno tassi di crescita anche superiori a quelli di Amazon. Il gioco di squadra fatto tra negozi fisici e online, che abbraccia tanto il fenomeno dello showrooming quanto quello del click & collect, impedisce tra l’altro di determinare in modo preciso il contributo dei diversi canali di vendita all’interno del processo decisionale d’acquisto. Ma è un fatto che distributori nati come ecommerce puri stanno aprendo punti di vendita per sfruttare le loro ancora straordinarie potenzialità in termini di contatto fisico con i prodotti, esperienze sensoriali, servizio, impulso. Solo per citare alcuni aspetti.

Infine, se è vero che il pubblico apprezza dell’ecommerce il vantaggio di prezzo e la consegna a domicilio, magari in giornata e gratuita – fattori che contribuiscono entrambi al successo della formula – a oggi non è dimostrato dai bilanci degli eretailer che si tratti di un modello di business anche profittevole e sostenibile nel medio termine. L’impossibilità di dimostrare una presunta maggior efficienza dei processi, in grado di garantire costi più bassi, getta un’ombra sulla loro stessa possibilità di sopravvivenza nel medio termine.

Un’altra fonte che dà la quota Usa dell’ecommerce nel 2014 all’11,6%, indica quella in Gran Bretagna al 13,5%, in Germania al 9,7%, in Francia al 6,9%, in Spagna al 3% e in Italia al 2,1%. Crescita robusta anche per quest’anno, a due cifre, ma sempre su una base ancora al di sotto del 15% ovunque.

Appare allora evidente che sia i distributori sia le aziende di prodotti di marca dovranno continuare a pensare le proprie strategie di marketing considerando un processo d’acquisto che si svolge nella stragrande maggioranza dei casi in un ambiente e secondo modalità tradizionali. Anche se vi sono un paio di aspetti da non sottovalutare oggi e in prospettiva futura. I distributori omnichannel e i prodotti di marca devono presidiare in modo omogeneo i diversi canali, garantendo al proprio pubblico di riferimento una coerenza di comunicazione, prezzo, politiche promozionali, piattaforme di fidelizzazione e servizio clienti indispensabili per assicurare un’immagine e un posizionamento univoci. Se il digitale riveste ancora un ruolo complementare come canale di vendita, ne ha invece uno ormai centrale per quanto riguarda l’influenza esercitata sul processo decisionale d’acquisto di una fascia di pubblico sempre più ampia che non abbraccia solo i millenial, ma anche la generazione X e i più giovani tra i boomer. Evidenze che hanno stimolato un grande dinamismo da parte delle aziende nell’individuazione di modalità innovative per dialogare in modo personalizzato con la propria clientela, assecondando abitudini e comportamenti in termini di utilizzo della rete, in particolare dei media mobile e dei social network.

Gli esempi sono numerosi e alcuni anche famosi. Uno è costituito dalla collaborazione tra eBay e la boutique di Rebecca Minkoff a Soho (NY), Nordstrom o Kate Spade, dove i clienti possono utilizzare dei display touch screen per navigare alla ricerca di informazioni sui prodotti o uno specchio nel camerino per modificare l’intensità delle luci o chiedere l’assistenza del personale di vendita. Un altro esempio è l’iniziativa sempre tra eBay e il Simon Innovation Group del Gruppo Immobiliare Simon, proprietario di numerosi centri commerciali, che ha portato alla realizzazione del Connected Mall a Palo Alto.

Tutti esempi della riproduzione di esperienze di navigazione digitali nell’ambiente multisensoriale del punto di vendita, di cui in Italia abbiamo un esempio nell’Ovs di via Dante a Milano, realizzato in collaborazione con Google.

In modo simmetrico alcuni eretailer puri aprono punti di vendita per ampliare le opportunità di stabilire una relazione con la clientela in un ambiente meno asettico della rete. Che si tratti di flagship store con finalità soprattutto di comunicazione, di showroom dove permettere di entrare in relazione con il prodotto attraverso tutti i sensi, oppure di outlet dove smaltire le giacenze, è una strada già percorsa da Amazon, Warby Parker, Athleta e Zappos, solo per fare alcuni nomi.

Beacon, nfc, app: sono numerose le ricadute dell’innovazione tecnologica digitale al servizio delle nuove modalità di dialogo tra punti di vendita e clientela, nell’ambito dell’approccio social, local, mobile. Le finalità più rilevanti rimangono quelle di rendere più facile l’esperienza d’acquisto, informare, anche attraverso recensioni e commenti dei social media, far provare i capi d’abbigliamento e condividere foto con amici e parenti, confrontare prezzi e servizi accessori, rendere indolore il checkout. Iniziative di sicuro successo, se si basano sul principio della rilevanza per il cliente e del rispetto della sua privacy.

Soluzioni di cui abbiamo già parlato in qualche precedente articolo e di cui senz’altro parleremo ancora in futuro, visto che la frontiera dell’innovazione è in continuo movimento per consentire alle aziende di adeguarsi alle istanze del pubblico in tal senso. E non sono fenomeni rilevanti solo sull’altra sponda dell’Atlantico o della Manica, come mostrano i risultati di una survey condotta da Ipsos Retail Solutions lo scorso anno in Italia (si veda la tabella). Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, lo stesso studio ha scoperto che già il 35% degli appartenenti al segmento degli over 55 anni ha utilizzato le app delle insegne frequentate. Così come oltre il 40% di loro ha usato nel punto di vendita totem e terminali o ha navigato in rete in cerca di informazioni.

In conclusione, se l’ecommerce rappresenta un fenomeno da seguire con attenzione, cercando di trarre ispirazione dalle funzionalità offerte più gradite al pubblico, la vera minaccia per le aziende è rappresentata dall’eventuale incapacità di far proprio il modo nuovo da parte della clientela di fruire dei media, di selezionare le fonti affidabili così come le informazioni rilevanti, perdendo così l’opportunità di comunicare con essa in modo efficiente.

Filippo Genzini

www.aroundmarketing.it

Filippo Genzini

Ho sempre lavorato nel settore dei servizi innovativi di marketing per le aziende del largo consumo e - in particolare - del retail, sia sul fronte della marketing intelligence sia su quello della comunicazione, con una focalizzazione sull’approccio customer centric. Hobby prediletti: la scrittura e la musica. genzini@admirabilia.it www.ilcommissariozarotti.com