Via della seta, banco di prova per un’Europa in transizione

“Abbiamo bisogno di una legge europea, di una Cassazione europea, di un sistema monetario unico, di pesi e di misure uguali, abbiamo bisogno delle stesse leggi per tutta l’Europa. Fare di tutti i popoli europei un unico popolo, ecco la soluzione”.

No, non si tratta di Adenauer, De Gaulle, e nemmeno di Prodi, ma di Napoleone, che nelle sue tarde lettere racconta il progetto politico alla base delle azioni militari. L’Unione Europea ora esiste, ha più di 60 anni, si è ampliata nel tempo (gli Stati sono passati da 6 a 28) e si appresta ad affrontare un’elezione con tante incognite, che forse romperà il fronte socialdemocratico e popolare. Dal punto di vista economico tutto il quadro europeo è debole e le previsioni per i prossimi 5 anni non sono buone; l’Italia, ancora al di sotto del livello di pil pre-crisi (al 95% del 2007), sembra essere messa peggio: nel 2018 è cresciuta dello 0,9% in rallentamento rispetto al +1,6% del 2017, un calo legato soprattutto ai consumi (cresciuti solo del 0,6% nel 2017). Anche la fiducia degli italiani nell’Ue attraversa una fase di crisi: dal 75% del 2008 al 39% del 2018. In questo contesto l’Italia ha firmato il Memorandum of Understanding con la Cina, all’interno del progetto “Belt and Road Initiative” (tradotto poeticamente in Italia come “Via della seta”). Il Governo lo ritiene fondamentale per lo sviluppo del paese, ma si è generata un’ondata di reazioni critiche provenienti dalla Commissione Europea e dagli Stati Uniti, per una mossa percepita come divisiva verso Ue e Nato. L’iniziativa divide anche gli italiani: il 40% è favorevole, il 20% è contrario, anche se fiduciosi (36%) e preoccupati (35%) si equivalgono. C’è chi considera l’accordo una sorta di cavallo di Troia cinese per entrare in Europa, altri invece lo valutano come parte delle millenarie relazioni tra i due paesi, che risalgono ai tempi dell’Impero romano e poi di Marco Polo. Si aprirà probabilmente una stagione di maggiore intensità di scambi e le aziende saranno chiamate a comprendere e sfruttare al meglio le nuove opportunità, sia per l’export sia per l’importazione di prodotti con dei canali privilegiati. L’accordo italiano potrebbe accelerare il processo di definizione di strategie comuni; nel mentre è bene iniziare a considerare sia le occasioni che possono aprirsi sia i rischi connessi, incrementando la conoscenza di un territorio così vasto e diverso dal nostro: nel fare questo sarà essenziale la cooperazione con altre aziende e con i soggetti collettivi, come associazioni d’imprese e camere di commercio, che possono accompagnare le aziende nelle loro strategie. Speranze e paure s’intrecciano, tra la voglia di aprirsi a Est per giocare un ruolo ampio e meno subalterno agli Usa e il timore di essere schiacciati da un continente enorme e in crescita. L’Europa diventerà quello che in realtà è, cioè un piccolo promontorio del continente asiatico? Oppure non ha forse altri modi d’evitare di essere decomposta dall’influenza americana che attraverso un contatto nuovo, vero, profondo, con l’Oriente. Grande è la confusione sotto il cielo. La situazione è eccellente? Mi si permetta il punto di domanda.

Andrea Alemanno