Tra crisi e attesa il 2022 terreno fertile per i visionari

Si tratta di una sensazione che aleggia nell’aria, lungo uno spettro di ipotesi che vanno da radiose aspettative a un fosco pessimismo. L’osservazione dei cicli economici del passato insegna però che dalle grandi crisi nacquero outsider, perché capaci di immaginare un avvenire diverso. È il momento di farlo.

“Il lungo periodo è una guida fuorviante per l’attualità. Nel lungo periodo saremo tutti morti”. Questo di John Maynard Keynes è uno tra i più stupidi aforismi e forse per questo tra i più citati ed è tratto dal suo “A tract on monetary reform” del 1923. Keynes vi attaccava il “gold standard” in quanto barbara reliquia del passato e avallava l’idea per cui, in base allo spirito e ai requisiti dell’epoca, la moneta doveva divenire qualcosa di discrezionale a disposizione di una futura élite, molto intelligente, di policy maker cui delegare la guida del sistema economico. Il 1923 era anche l’anno in cui l’Armata Rossa schiacciava definitivamente la controrivoluzione e imponeva la dittatura comunista dell’Unione Sovietica, che sarebbe sopravvissuta per altri 66 anni, alimentando il mito della definitiva abolizione della lotta di classe.

La vittoria del comunismo russo prometteva, oltre alla distruzione del libero mercato, la presunta superiorità della pianificazione a lungo e lunghissimo termine dell’economia così da cancellare la scarsità e le diseguaglianze. Nello stesso 1923, Joseph Kitchin pubblicava la teoria che spiegava il ciclo finanziario di brevissimo periodo, Nikolai Dmitrievich Kondratiev quella dei cicli cinquantennali e Joseph Schumpeter stava meditando sul concetto di “distruzione creativa” degli imprenditori come causa del business cycle, ovvero sulla perenne instabilità del sistema capitalistico nel suo continuo divenire. Alain Minc menziona nella biografia di Keynes la sua mancanza di figli e la sua salute precaria, messa per di più a rischio da un attivismo frenetico, motivato dall’ambizione di essere l’influencer economico più ascoltato dai leader occidentali di allora. Questa potrebbe essere una chiave interpretativa del suo pragmatico disdegno per le grandi teorie volte ad anticipare il futuro e a spiegare l’impersonale complessità dei mercati mondiali.

Sembrano pochissime le aziende consapevoli di dover disegnare degli scenari futuribili

Nei fatti la storia ci dice che furono sempre le grandi visioni (o i sogni) di un futuro proiettato nel tempo a guidare la civilizzazione e in particolare quella cristiana centrata sulle prospettive dell’eternità, piuttosto che sulla miseria della vita quotidiana. Keynes condivideva una visione platonica e lineare dello sviluppo economico e sociale purché governato da sapienti capaci di dosare e governare tasse, moneta e spesa pubblica; una visione accompagnata anche da una spiccata simpatia per l’eugenica. Al contrario, Kitchin, Kondratiev, Schumpeter (e prima di loro Clément Juglar) immaginavano un futuro che si sviluppava a spirale, cioè con una combinazione di crescita afflitta da continui up & down. A un secolo di distanza, pur essendone scarsamente coscienti, siamo di fronte alla stessa dicotomia. Da una parte gli eletti dai vari popoli delle nazioni stanno mettendo in atto accordi giganteschi e dispendiosi investimenti per contrastare catastrofici cambiamenti climatici, migrazioni epocali, emergenze sanitarie. Dall’altra lo “short termism” keynesiano tenta di governare un business cycle in procinto di sfuggire al controllo e di far scoppiare l’enorme bolla speculativa creata dalla “moneta facile”.

Una situazione che, a poca distanza dalla grande paura del 2009, sembra incline a degenerare ancora una volta in una stagflazione potenzialmente terribile, soprattutto per coloro che sono più deboli economicamente. Queste divagazioni servono a introdurre una sensazione che mi pare aleggi nell’aria: un’attesa ansiogena del “dopo”. Il dopo di una pandemia che, pur rappresentando storicamente un periodo brevissimo, appare interminabile, e il dopo di una fase espansiva più che decennale che sembra iniziata solo ieri: un periodo in cui negli Usa e in Europa tutti gli indicatori hanno evidenziato una sequenza ininterrotta di più. Voglio dire che sembrano pochissime le aziende grandi e piccole consapevoli di dover disegnare degli scenari futuribili lungo uno spettro di ipotesi che dovrebbero andare da un radioso ottimismo a un fosco pessimismo.

Le lunghe onde della prosperità
Come ipotizzò Schumpeter lo sviluppo capitalistico segue dei lunghi cicli (cicli di Kondratiev) a cui si sovrappongono altri cicli di diversa durata. L’idea di base è che le innovazioni e i progressi tecnologici e commerciali si riflettono nelle fluttuazioni delle variabili economiche: l’aumento dei livelli di benessere umano è caratteristico di questi cicli. Tuttavia questi cambiamenti portano potenzialmente anche al verificarsi di guerre o depressioni finanziarie.

Gli anni 1930, 1946, 1961, 1974, 1982, 1991, 2002, 2009 furono tutti di svolta, simili a quello che stiamo vivendo. Essi videro la crisi di celebrate “aziende star” e la nascita di outsider senza una storia pregressa da difendere, ma capaci di immaginare un avvenire diverso. Chi prestò attenzione nel ’93 a un giovanotto che, raccolti in famiglia 250.000 dollari, si apprestava a fondare Amazon.com? In fondo, la prima web page era stata creata solo due anni prima. Chi avrebbe detto, nel 1982, che quello store di Lamar Boulevard (Austin, Texas), distrutto un anno prima da un’alluvione, si sarebbe trasformato in Whole Foods? E nel ’75, con la disoccupazione al massimo e il lockdown petrolifero, chi immaginava che l’hangar dismesso e riadattato di Morena Boulevard a San Diego (California) costituiva la nascita del Gargantua chiamato Costco? Per non parlare del mitico garage al 2066 di Crist Drive di Los Altos (California), dove i due Steve stavano inventando l’Apple I. E che dire del primo Walmart, nel 1962, a Rogers (Arkansas) “in the middle of nowhere”? Concludendo, questo 2022 sarà un anno importante, ricco di sorprese, brutte nell’immediato e belle retrospettivamente. Sarà un anno in cui la delusione per l’efficacia del governo dei “sapienti”, tutti volti a chiudere le fessurazioni che emergono qua e là nel sistema economico globale, avrà come contraltare l’inventiva anticipatrice di imprenditori il cui nome è ancora sconosciuto.

Daniele Tirelli