Il legame imprescindibile tra retention e sostenibilità

Sono due aspetti che hanno molto in comune, entrambi guardano al futuro con il fine ultimo di far vivere e prosperare l’impresa nel lungo periodo in armonia con dipendenti e i clienti, ma anche in senso più ampio, includendo l’ambiente naturale, gli investitori e il tessuto sociale.  I programmi fedeltà possono svolgere un ruolo essenziale a questo scopo.

Il 2022 è chiamato da molti l’anno “del grande pivot”, ovvero l’anno in cui le aziende hanno smesso di “reagire” agli eventi e, cambiando passo, scelgono con decisione una strada, fanno innovazione. Stanche dei due anni “sospesi” cui la pandemia le ha costrette. E quando si decide di puntare con forza di nuovo al futuro, due sono gli approcci che vengono alla mente. E non sono alternativi. Per noi che ce ne occupiamo tutti i giorni, il primo di questi approcci si lega alla strategia che per eccellenza guarda all’azienda in un’ottica di lungo periodo: la retention, perché costruisce i futuri flussi di cassa e profitti d’impresa, grazie allo sviluppo del customer lifetime value.

È ormai del passato la visione dell’impresa che basta a sé stessa e ai suoi investitori

Il nostro Osservatorio ha raccontato più volte come l’orientamento alla fedeltà della clientela negli ultimi 40 anni sia passato da leva tattica del marketing mix (le promozioni fedeltà) a principio guida della strategia aziendale, passando attraverso il crm e successivamente il customer experience management. Nei medesimi 40 anni ha avuto luogo un’altra rivoluzione nel pensiero manageriale: si è diffuso il concetto di sostenibilità ambientale (che porta avanti l’idea che si può vivere e produrre in modi che soddisfano i bisogni umani conservando l’ambiente in salute), che si è allargato poi al concetto di csr (corporate social responsibility), che riguarda l’attenzione dell’azienda alla condotta etica e alla responsabilità sociale, e infine a quello di esg (environment, social and governance) che si amplia ulteriormente e affianca ad ambiente e società elementi di buona governance (le retribuzioni dei manager, l’indipendenza del consiglio di amministrazione) e pone l’accento sull’importanza di misurare come la performance dell’azienda impatta su tali tre sfere. È ormai del passato la visione dellʼimpresa che basta a sé stessa e ai suoi investitori. Oggi è responsabile delle ricadute delle proprie pratiche e in modo crescente anche di quelle dei propri partner sull’ambiente, sulla comunità e sui tanti stakeholder. Tanto che parliamo di stakeholder capitalism.

Orientarsi alla sostenibilità, misurare le pratiche aziendali con criteri esg sta diventando imprescindibile. Se guardiamo queste due rivoluzioni, esse hanno molto in comune, oltre ad essere maturate negli stessi anni: entrambe hanno come orizzonte il futuro, e il fine ultimo di far vivere e prosperare l’impresa nel lungo periodo, in armonia con gli elementi che la costituiscono più da vicino (i dipendenti e i clienti) e all’intorno (l’ambiente naturale, gli investitori, il tessuto sociale). Entrambe richiedono misure, quelle di loyalty sono consolidate, le altre si stanno facendo strada progressivamente: si analizza la struttura delle remunerazioni, l’integrazione dei piani di sostenibilità con i piani industriali, la composizione del board e tanto altro.

Quote crescenti di clienti reputano parte integrante del valore creato dall’azienda le azioni compiute in ambito ambientale, sociale e di governance

Decine di ricerche nazionali e internazionali, poi, mostrano come si stia diffondendo tra i consumatori la conoscenza dei temi della sostenibilità. Non si tratta ancora della maggioranza, ma si nota un progresso di anno in anno. Per esempio, considerando una recente indagine internazionale di Doxa, la Win World Survey 2022, emerge che il 48% degli italiani conosce il significato del termine sostenibilità, la stessa percentuale della media europea. Sappiamo che la fedeltà è la cartina di tornasole della capacità dell’azienda di creare valore. Se i clienti vedono che l’azienda crea valore per loro, restano. Con quote crescenti di clienti che reputano parte integrante del valore creato (o distrutto) dall’azienda le azioni che essa compie in ambito ambientale, sociale e di governance, ecco che la sostenibilità inizia a diventare una condizione necessaria per la fedeltà, almeno per alcuni individui.

Lavorare sulla sostenibilità significa dunque costruire le condizioni per la fedeltà del futuro. Vi è poi una seconda categoria di fedeltà che è cruciale per il futuro dell’impresa: quella dei dipendenti. Trascurata sia dalle imprese sia dalla ricerca sia dall’innovazione di marketing, è salita alla ribalta proprio con i grandi cambiamenti impressi dalla pandemia. Per trattenere i dipendenti, soprattutto i più giovani, è sempre più importante distinguersi in ambito ambientale, sociale e di governance. E lo stesso vale ancor più per gli investitori: i criteri esg sono nati proprio in questo ambito, e determinano l’accesso o meno a diverse forme di capitale. Come ha scritto uno dei padri della loyalty, Frederick Reichheld, autore di “Il fattore fedeltà” e inventore del net promoter score, già nel 1996: “We came to understand that business loyalty has three dimensions – customer loyalty, employee loyalty and investor loyalty – and that they are far more powerful, far reaching, and interdependent than we had anticipated or imaged”.

Recenti studi hanno mostrato come i clienti con sensibilità “green” sono anche più interessati della media ai programmi fedeltà

La sostenibilità diventa allora un pilastro per la fedeltà di clienti, dipendenti e investitori. Al contempo, senza costoro non si hanno flussi di cassa per investire nei (costosi) cambiamenti necessari per essere sostenibili. Diventa chiaro quindi come i due orientamenti alla fedeltà e alla sostenibilità debbano sostenersi a vicenda. Uno dei piani su cui questo può accedere è quello dei programmi di fidelizzazione. Perché proprio qui? Innanzitutto perché il programma fedeltà “parla” con numerosi canali ai clienti più importanti per l’azienda, e può arrivare capillarmente a far passare conoscenze ed educazione in tema di sostenibilità; poi perché produce dati che permettono di conoscere preferenze e caratteristiche dei clienti, quindi anche di segmentare in base a orientamenti più o meno sostenibili; inoltre permette di misurare come varia la fedeltà stessa, rispetto a vari stimoli e fa vedere ai non clienti come potrebbero conciliare vantaggi monetari e di comportamento sostenibile, se diventassero membri del programma.

La ricerca scientifica ha dimostrato che avere anche solo intenzioni di tenere comportamenti a favore dell’ambiente aumenta la soddisfazione e la felicità delle persone. Come se non bastasse, recenti studi, tra i quali uno di Forrester, hanno mostrato come i clienti con sensibilità “green” sono anche più interessati della media ai programmi fedeltà, e influenzati da questi negli acquisti. Ha senso quindi fare del programma fedeltà il portavoce dell’approccio e dei risultati dell’azienda alla sostenibilità, nonché utile terreno di sperimentazione e raccolta di insight. Cosa fanno le aziende su questo fronte? A che punto sono nel coniugare programma fedeltà e sostenibilità?

Il nostro Osservatorio ha raccolto e analizzato 50 casi di programmi fedeltà in quindici settori diversi e dieci paesi, che abbracciano in qualche misura la sostenibilità, e ha dedicato a questo tema anche una ricerca sperimentale. Entrambi i lavori sono stati presentati in occasione del workshop del 31 marzo dell’Osservatorio, e nel seguito proponiamo alcuni spunti dall’analisi dei casi. Innanzitutto individuiamo tre gradi di “impegno” del programma sul fronte della sostenibilità: a un livello base il cliente ha la facoltà di donare i propri punti a delle cause sociali o ambientali. Qui lo sforzo è del cliente, mentre tuttalpiù l’azienda si impegna a raddoppiare la donazione, come fanno Coop UK, Marks & Spencer e Gap. Molto più coinvolgente ed educativo è invece il modello per cui il cliente accumula punti con comportamenti sostenibili, e qui si trovano una varietà di esempi, dal riciclo (Yves Rocher, Boots, John Lewis, Madewell), al riuso (Kiabi, Ikea), alla condivisione social di messaggi sostenibili (Girlfriend Collective), alla compensazione della CO2 delle proprie azioni (BrewDog, Quantas), alla rinuncia alla pulizia della camera in hotel (Best Western, Ihg Hotels), a viaggiare con poco bagaglio (Etihad) e altre riduzioni di consumo (nei programmi fedeltà delle utility per esempio).

Alcune compagnie aeree propongono programmi fedeltà sostenibili rivolti alle aziende che possono acquistare benzine a ridotto impatto ambientale.

Infine, al terzo livello troviamo quelle aziende che danno strumenti ai clienti per vivere uno stile di vita più sostenibile, a prescindere dall’acquisto di beni e servizi esclusivamente dell’azienda. Qui si inseriscono le app che monitorano la sostenibilità delle nostre azioni, ci fanno scegliere tra brand sostenibili, ci educano a prassi più amiche dell’ambiente (Tentree, Epic, Cogo). Grazie al fatto che oggi molti programmi fedeltà sono già app-based, è possibile pensare di integrarvi tramite api queste nuove funzionalità di “misura della vita green”. Cogo si offre per esempio come prodotto white label per misurare con precisione l’impatto ambientale dei prodotti e dei comportamenti, come può essere l’acquisto online di un abito invece che in negozio.

I temi del riciclo e del riuso sono molto presenti e declinati in vari modi, in particolare nei programmi fedeltà dei settori beauty e abbigliamento. Le iniziative in questo ambito hanno il vantaggio di creare traffico sul punto di vendita, dove ci si reca per conferire i prodotti usati. Lush offre un trattamento per il viso, quando si restituiscono 5 confezioni vuote di prodotto; John Lewis con il programma Beautycycle offre un buono sconto da 5 sterline per 5 contenitori di plastica restituiti; in tanti supermercati italiani si sta diffondendo l’iniziativa dei punti o buoni sconto per il riciclo delle bottiglie di pet, come anche da Leroy Merlin. L’abbigliamento usato può essere valorizzato per singolo capo o al kg con punti o buoni sconto e si può portare in negozio per il riciclo, ma anche per scambiarlo con altri capi usati (come nel caso di Rei). Il riutilizzo della “cup” per il caffè da asporto è premiata da Costa Coffee con un caffè gratis ogni quattro, invece che ogni otto, per la tazza usa e getta. Decathlon poi ha recentemente rilanciato il suo programma, che ora prevede 10 punti aggiuntivi per ogni acquisto di un prodotto di seconda mano o di “ecodesign”; i punti aggiuntivi diventano 100 se si partecipa a un’attività sportiva o a un’attività responsabile (per esempio la pulizia di un fiume o di un bosco) organizzata dal negozio Decathlon.

In ambito business to business, per ogni fusto vuoto di birra restituito, Beer Hawk accredita al bar un Beer Token, che vale uno sconto di 0,05 sterline sul successivo acquisto. Nel settore delle compagnie aeree, Jetblue e Etihad hanno lanciato da poco programmi fedeltà sostenibili rivolti alle aziende che possono acquistare benzine a ridotto impatto ambientale (Sustainable Aviation Fuels), per raggiungere gli obiettivi di compensazione delle emissioni di CO2 dei voli dei propri dipendenti, o possono far aggiungere un sovraprezzo dell’1% ai biglietti, reinvestito dalla compagnia aerea nei progetti di riforestazione. In questo modo un’azienda acquista servizi di sostenibilità dal partner: inoltre quando i propri dipendenti (membri del programma per i passeggeri) volano privatamente con Etihad, anche l’azienda accumula miglia, in un circolo di fedeltà che si rafforza.

Questi modelli b2b meritano di essere approfonditi perché hanno a nostro avviso un potenziale di sviluppo immenso a livello di collaborazione con i partner di canale, in tanti settori. L’Osservatorio approfondirà ancora il tema della loyalty & sustainability nei prossimi mesi. Se volete farci conoscere i vostri progetti in tale ambito, scriveteci sulla nostra pagina Linkedin.

Cristina Ziliani

È professore ordinario di Marketing all'Università di Parma, dove insegna Loyalty marketing e Customer relationship management. Dal 1999 è responsabile dell’Osservatorio Fedeltà dell'Università di Parma. È autrice di oltre 60 articoli scientifici e 5 libri sui temi del loyalty marketing e data driven marketing. Nel 2020 ha pubblicato con il collega Marco Ieva, per l'editore internazionale Routledge "Loyalty Management: from Loyalty Programs to Omnichannel Customer Experiences". www.osservatoriofedelta.it