Ricompensare le esperienze

Da qualche anno c’è una corrente di pensiero molto forte che è riuscita a penetrare in modo capillare la società contemporanea. Si tratta della consapevolezza verso un consumo sostenibile, sia per la salute propria sia per quella del pianeta. Un consumo che cerca di rimediare alla negatività inclusa nel significato stesso di questa parola (che implica distruzione del bene, ma anche utilizzo intensivo di risorse, inquinamento) per divenire esperienza positiva. Ossia viene attuata una trasposizione su un piano immateriale fatto di conoscenza, ritualità, relazioni, sentimenti e quanto altro si possa sperimentale simbolicamente.

Se i volumi di acquisti non sono ulteriormente incrementabili, trovando appunto un limite nella consapevolezza che non ha senso acquistare per poi generare uno spreco sia nel food (dove le merci hanno una deperibilità elevata) sia nel non-food (nella moda, si sta preferendo la lunga durata di un abito al fast fashion, negando la necessità di cambiare stili a ogni stagione), allora si agisce su altri aspetti che per le aziende devono comunque generare valore monetario al pari della vendita di prodotti. Vediamo quindi all’opera operazioni promozionali e di loyalty per trattenere e intrattenere i clienti non solo con lo scopo di conservarli come consapevoli e giudiziosi acquirenti di beni e servizi, ma soprattutto per farne dei brand lover: appassionati follower di una marca e del suo mondo che si continuerà a preferire e, all’occasione, acquistare.

Gli schemi che vengono messi in campo s’ispirano alla formula “experience to earn” (e2e), dove a essere premiati sono appunto i comportamenti attivati da un’esperienza che apportano un beneficio all’azienda (in termini di visibilità, notorietà, risonanza, persino incidono sulla positiva reputazione) non meno che ai clienti, che hanno modo di guadagnare (earn) vantaggi sia materiali (il tipico sistema di reward del promozionale) sia immateriali (come una visita notturna a una pinacoteca o ottenere un nft). Per esperienze s’intendono molte attività: dare ai clienti protagonismo (per esempio raccontare le proprie esperienze con un prodotto, inventarne un nuovo utilizzo), offrire occasioni per rendersi utili (partecipando a un panel test, cooperando personalmente in un progetto socialmente utile avviato dal brand), stimolare la loro capacità di socializzare e coinvolgere altre persone superando differenze di età, mentalità e di nazionalità, innalzare la loro abilità nell’apprendere un comportamento, nell’usare un touchpoint, una modalità di pagamento.

A ogni esperienza esplicitata e condivisa, a ogni azione messa in atto dai clienti possono corrispondere riconoscimenti, premi simbolici, o concreti vantaggi. Molte persone non osano passare a servizi online perché non sanno come fare. Ecco un campo di applicazione dell’e2e: basta invitare il cliente nel punto di vendita fisico e aiutarlo ad apprendere nuovi percorsi digitali e poi premiarlo se continua autonomamente e manifesta soddisfazione.

Andrea Demodena

Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.