Per incidere sulla fedeltà il marketing deve essere sentimentale

Marilde Motta03/06/2024

Affettività, sentimenti profondi, emozioni sono stati negati per moltissimo tempo dalle dottrine economiche che volevano un consumatore razionale e aziende con algide e geometriche strategie. Il lato “sentimentale”, che fa riferimento a esperienze e sensazioni, è stato sbrigativamente bollato di irrazionalità. È solo a partire dalla fine degli anni ’80 che si sono intensificati gli studi e le ricerche per dare il giusto significato a tutta una serie di comportamenti delle persone quando si relazionano con le marche, non solo quando compiono atti di acquisto, ma soprattutto quando interagiscono con esse on/offline per i più diversi motivi e circostanze.

Non sfugge a questi comportamenti, intrisi di emozioni, la loyalty. Va ricordato infatti che le esperienze che le persone fanno con la marca (e i sottostanti prodotti e servizi) e attraverso la marca (gli atti di uso pubblico e privato dei beni acquistati, ma anche noleggiati come si usa oggi per molte categorie di prodotti) sono di ben sei tipi (sensoriale, emotivo, cognitivo, pragmatico, lifestyle, relazionale/ sociale) e concorrono a delineare i comportamenti di fedeltà o persino di lealtà verso il brand. Prendiamo in considerazione alcuni recenti studi che possono servire a dare una visione precisa della dimensione “sensibile” della loyalty. L’intelligenza emozionale ha una lunga storia di studi e ricerche, ma è ancora poco applicata alla comunicazione quando si tratta di attivare campagne promozionali e di loyalty. In estrema sintesi, le emozioni sono alla base di qualsiasi comportamento umano e il comprenderle per saperle utilizzare con intelligenza si apprende nel corso della vita (anche se non per tutti il percorso è lineare e positivo).

Per le aziende, saper manifestare le emozioni positive attraverso gli elementi identitari ed espressivi della marca (sia essa d’industria o di società di servizi, catene distributive ecc.) è di primaria importanza poiché conduce a costruire un legame ideale con i propri clienti (ma non solo, anche tutte le relazioni di filiera si conformano alla forza e al contenuto che l’azienda vuole dare all’intelligenza emozionale). Per esemplificare, Luxury Institute di New York (in collaborazione con Columbia Business School) ha sviluppato nel 2018 una propria metodologia per misurare l’intelligenza emotiva applicata al mondo dei brand del lusso e ha quindi identificato quattro aspetti su cui l’intelligenza emotiva incide: la brand expertise, che viene misurata attraverso parametri che danno conto del livello di servizio provato dai consumatori oltre che dalla qualità complessiva dei prodotti firmati da un brand; la brand empathy, che consente di misurare la capacità dell’azienda/marca di ascoltare, comprendere e risolvere i bisogni espressi dai clienti; la brand trustworthiness, che esprime il livello di fiducia che i clienti sono disposti a concedere alla marca quando vedono che questa sa servire i loro interessi; la brand generosity, definita da una serie di parametri che riguardano il comportamento positivo e sensibile della marca verso clienti, dipendenti, le comunità dove l’azienda ha sedi e in pratica riguarda tutte le relazioni di filiera. Sebbene l’Emotionally Intelligent Brand Index sia stato sviluppato nel mondo del lusso, che è particolarmente sensibile alla relazione continuativa e proattiva con i clienti, nulla vieta di considerarne un adattamento anche in altri settori. Vi sono infatti molte altre ricerche che mettono in luce come gli aspetti emotivi, di sensibilità, di autenticità della relazione con la marca e con l’azienda che la garantisce siano fattori decisivi per attrare e mantenere i clienti.

 

I consumatori, in qualsiasi settore di beni e servizi operi un’azienda, scelgono le marche non solo in base alla funzionalità dell’offerta, ma soprattutto perché si rispecchiano nella personalità della marca stessa, perché c’è una somiglianza fra i valori e gli elementi identitari proclamati dal brand e il proprio sentire. Attaccamento e vicinanza. In uno studio pubblicato nel 2013 sul Journal of Marketing Research, a cura di M. Mende, R. N. Bolton, M. Jo Bitner e intitolato “Decoding customer-firm relationships: how attachment styles help explain customers’ preferences for closeness, repurchase intentions, and changes in relationship breadth” si mettono in luce due elementi della relazione: stili di attaccamento e vicinanza. Se i modelli individuali di attaccamento nei bambini e negli adulti sono oggetto di studi fin dagli anni ’70, è solo dalla fine degli anni ’90 che vengono associati alla loyalty in ambito di relazioni con l’azienda.

 

L’attaccamento fa parte del comportamento umano e ci accompagna per tutta la vita segnando le relazioni. In sintesi, l’attaccamento caratterizza la relazione emozionale che implica uno scambio di cura, benessere, piacere fra due persone. Secondo John Bowlby, quanto sperimentato nell’infanzia condiziona il comportamento nell’età adulta e si estende dall’attaccamento verso altre persone a quello verso entità (come marche e aziende) e condiziona gli atteggiamenti verso qualunque tipo di relazione. Parimenti interessante l’articolo di M. E. David, K. Carter, C. Alvarez, pubblicato nel 2020 su European Journal of Marketing e intitolato “An assessment of attachment style measures in marketing” che individua ben 7 tipi diversi di stile di attaccamento che hanno un impatto sulle relazioni in ambito di marketing. Quelli che hanno più decisive conseguenze sulle relazioni in ambito commerciale (e incidono sulla loyalty) sono: tipo sicuro (la persona è confidente e fiduciosa verso gli altri, è disponibile a impegnarsi), tipo ansioso (è la persona che ha un modello interiore di autorappresentazione negativo, si sente non apprezzata, è sfiduciata e ha quindi bassi livelli di fiducia verso gli altri), tipo evitante (è la persona che teme la vicinanza, evita le relazioni per mantenere l’indipendenza). Ne consegue che una persona che ricade in una di queste tipologie avrà verso il brand un desiderio forte di legame e di vicinanza o, all’opposto, lo eviterà, oppure aderirà alla relazione con molte riserve rendendola di conseguenza fragile.

Un ulteriore studio (“Attachement styles in business-to-business relationships” di Marcel Paulssen della Humboldt University di Berlino) estende al b2b ogni considerazione relativa agli stili di attaccamento e il riflesso che hanno su relazione e propensione alla fedeltà. Quando si lancia una campagna di loyalty non si tiene ancora presente questo aspetto della psicologia comportamentale che, in realtà, ha un ruolo determinante nella motivazione ad aderire allo schema, o a rifiutarlo, ma ha conseguenze anche nel cercare e desiderare la vicinanza della marca o tenerla a distanza. Gli stili di attaccamento dei clienti sono rivelabili da apposite ricerche e sono utili per poterli profilare ulteriormente evitando quindi di rivolgere campagne a quelli che dimostrano uno stile di attaccamento di tipo evitante e non desiderano vicinanza.

Attaccamento e vicinanza influenzano direttamente le intenzioni e i comportamenti verso la loyalty, così con una migliore segmentazione dei clienti si può progettare anche una relazione su misura con chi ricade nel “tipo sicuro” e nel “tipo ansioso”. Va ricordato che i modelli interiorizzati di attaccamento sono radicati nelle persone fin dall’infanzia e quindi ben difficilmente modificabili; vale quindi la pena di individuare il prima possibile lo stile di attaccamento dei clienti. Chi ha uno “stile evitante” potrà continuare a essere cliente perché soddisfatto di una situazione che lo lascia libero da vincoli e non è quindi necessario dedicargli investimenti. Chi ricade in altri stili è approcciabile invece con progetti di loyalty personalizzati, coinvolgenti a cui risponderà con impegno.

Come individuare gli stili di attaccamento che incidono sulla relazione e sulla loyalty? Come detto ci sono indagini apposite che possono essere svolte sui clienti acquisiti, ma c’è soprattutto una facile soluzione ex ante. Ossia includere alcune specifiche domande nel modulo di richiesta di adesione di un programma fedeltà. Anche un cliente con uno stile evitante potrebbe aderire per una serie di circostanze, ma le risposte date al breve questionario lo riveleranno subito così come mostreranno gli altri stili di attaccamento di altri clienti rendendo possibile una classificazione. Alcune ricerche hanno mostrato che il cliente con stile evitante, sebbene all’apparenza sembri poco utile all’azienda, mostra performance di acquisto e riacquisto non diverse da altri: va quindi coltivato rispettando il suo desiderio di rimanere indipendente e distaccato.

La loyalty dunque è un costrutto su cui incidono i sentimenti e i comportamenti umani; ma anche la relazione (nel cui alveo si collocano tutte le situazioni in cui la loyalty è chiamata a manifestarsi) è altrettanto sensibile al vincolo immateriale e psicologico che lega le persone alla marca/azienda. La loyalty non può essere scissa dalla relazione e dalle forme di attaccamento verso l’azienda e i suoi brand. L’intelligenza emotiva che guida naturalmente i comportamenti umani dovrebbe essere praticata anche dalle aziende (in particolare in ambito loyalty le aziende hanno la possibilità di dimostrare la brand generosity attraverso il sistema di reward, ma anche con tutte quelle iniziative che offrono ai clienti il beneficio di un clima di empatia, di rassicurazione, di benevolenza reciproca). I consumatori vanno meglio studiati e classificati non solo in base ai tipici parametri economici e stili di consumo. La psicologia aiuta a individuare classi di consumatori in base a ben definiti criteri che hanno un impatto diretto (accettazione/ rifiuto) su ogni campagna di loyalty, mettendo quindi l’azienda nella condizione di evitare dispersioni di budget.

Marilde Motta

Nella comunicazione dal 1978, in costante aggiornamento e approfondimento. Ho scelto le pubbliche relazioni come professione, dedicando attenzione a promozioni e direct marketing, su cui scrivo. Amo all’unisono il silenzio, i libri e i gatti. contatti@adpersonam.eu