Ucronia, la scenaristica strategica e il passo del gambero

Giulia Ceriani19/09/2025

Quello di ucronia è un concetto insolito alquanto complesso. Insolito perché meno frequentato della meglio nota utopia, reticenza alla collocazione spaziale che la nostra cultura ha progressivamente associato a un’evasione ipotetica, e migliorativa, dal presente. L’utopia è salvifica, l’ucronia non si sa.

Termine apparso alla fine Ottocento, di colpo legittima come la storia avrebbe potuto essere, in assenza di determinismi, e come di fatto non è stata. È così che la differenza dall’utopia appare evidente: se l’utopia si esercita a immaginare il mondo come avrebbe potuto essere per disegnarne un cambiamento almeno illusorio, l’ucronia ha l’inverso disegno (scandaloso, sostiene Emmanuel Carrère, che le ha dedicato un delizioso libretto) di “ cambiare ciò che è stato”. E di raccontarlo dando al virtuale una diversa esistenza.

La letteratura, tra le altre forme di rappresentazione, conta numerosi e ben noti casi di ucronia, da La storia dell’assedio di Lisbona, riscritta da Saramago, all’Orlando Furioso raccontato da Italo Calvino, da 1Q84 di Murakami a Ada o ardore di Nabokov. E altri ancora, forse Espiazione di Mc Ewan il più avvincente. Più restii a investirsi in speculazioni ucroniche, al di là del recinto protetto delle arti, gli scenaristi e coloro che in genere lavorano in ambito di comunicazione e marketing: dove forse non è ancora chiaro come l’ucronia restituisca a chi si occupa di cambiamento culturale e ancor più di tendenze e anticipazione, la chance di porsi all’interno di una prospettiva controfattuale. A partire da un punto di divergenza, da una possibile biforcazione della storia (a scelta: che sia la guerra in Ucraina o il genocidio di Gaza, che sia la pandemia o l’avvento dell’Ai, o la crisi energetica, o quant’altro a piacere), si apre il foglio bianco di un vissuto alternativo. Un mondo possibile, che ha lo straordinario privilegio di instillare in chi lo pratica il dubbio che la storia depositata (per non parlare di quella mediatizzata) non sia necessariamente quella giusta, e che si possa mostrare una diversa abitabilità del pianeta. Connessa, va da sé, a una modalità persuasiva non ancora percorsa.

Senza incorrere in facili e superficiali conclusioni, in giornate come queste, sul potere inutilmente portatore di rimorsi della visione ucronica, possiamo almeno dire che l’utilizzo dell’ucronia in una prosaica prospettiva di brand-check può portare la riflessione strategica a considerazioni non ovvie. “What if?”, ovvero come arrivare a diverse conseguenze nel presente a partire da una diversa strada imboccata nel passato. Ragionamento a reverso, che scuote la retorica facile delle tendenze come movimento in avanti, verso un futuro che non c’è, almeno fino a quando non ne assumiamo la responsabilità; e apre al contrario la porta, quanto meno a un’analisi prospettica alternativa, così sana ai fini di un deep marketing di cui sentiamo molto la mancanza. Orientata non più in avanti come qualunque scenario futuribile, bensì a ritroso, inseguendo quel passo del gambero che rischia di portare (evviva) a un contributo operativo nuovamente utile.

Giulia Ceriani

Semiologa, phd in Scienze del linguaggio, è professore associato presso l’Università di Bergamo dove insegna strategie pubblicitarie, comunicazione d’impresa e semiotica della moda. Tra i principali interessi di ricerca: i meccanismi semiotici della comunicazione di consumo, i fondamenti ritmici della rappresentazione, l’analisi delle tendenze, gli scenari di anticipazione, la moda come campo dell’innovazione. È presidente di Baba (babaconsulting.com), istituto fondato nel 2001.