Pietro Grossi: “Una campagna è ben riuscita quando trasmette una più ampia prospettiva sull’esistenza”

In un mondo sempre più diviso, servono voci capaci di portare sfumature, non estremismi. Serve creatività. È questa la via scelta da Creativity4Better, la “global conference” organizzata da Iaa–International Advertising Association che farà tappa a Milano il 2 ottobre. Un appuntamento di grande interesse per il profilo dei relatori chiamati a esplorare le complessità che ci dividono, metterle in discussione per trasformarle in opportunità di connessione, innovazione e progresso. Come Pietro Grossi, scrittore tra i più apprezzati (vincitore del Premio Campiello Europa, finalista al Premio Strega e all’Independent Foreign Fiction Prize), che abbiamo incontrato.

 

Lei sembra esprimere la convinzione che ci si può salvare dagli “alti e bassi” della vita, cercando un equilibrio sul crinale dell’esistenza. Un equilibrio che è difficile. La comunicazione televisiva, ma in genere tutta la comunicazione pubblicitaria, non si occupa e preoccupa della complessità: va diritta al punto, semplifica tutto. Quale suggerimento può dare a chi si occupa di comunicazione pubblicitaria?

Non sono completamente convinto che la comunicazione pubblicitaria non si occupi o preoccupi della complessità. Premetto che non è propriamente il mio campo (ho masticato pubblicità solo per un paio di anni, nella mia vita), ma, se ripenso ad alcune famose e importanti campagne, mi sembrano a loro modo molto stratificate, quindi a loro modo complesse, anche se per ovvi motivi ridotte alla massime possibile semplicità. È anzi questo ciò che mi diverte di una campagna ben riuscita: la capacità di trasmettere, attraverso un prodotto, una più ampia prospettiva sull’esistenza. Non so dunque se posso arrogarmi il diritto di dare dei suggerimenti, ma forse uno sarebbe proprio questo: non scambiare la semplicità per superficialità, la leggerezza per mancanza di spessore.

 

In “Qualcuno di noi” (Mondadori) il protagonista sin da piccolo mostra la spiccata propensione a mentire. La creatività è finzione? È questo il destino dello storyteller pubblicitario?

Sì, direi che la creatività è sempre a suo modo finzione. La creatività è sostanzialmente un modo originale per risolvere un problema in uno specifico dominio simbolico. Ed essendo simbolici, i domini sono per loro natura fittizi. Creano una sorta di distillato della realtà, un sistema per, attraverso appunto una forma di finzione, scovare qualcosa che è più vero del vero. E quindi sì, il destino di ogni narratore – in qualunque dominio, non solo quello pubblicitario – è quello di fingere. È in fin dei conti come lo fa che conta, quanto è convincente; nel senso letterale della parola: quanto cioè riesce a convincere chi gli sta davanti.

 

Oggi viviamo in un’epoca di disillusione verso le marche. Il termine marca è diventato generico e si adatta a tutto. Persino alla marca privata di un discount.  Se il valore “mitico” della marca è finito come può la pubblicità recuperare la capacità narrativa? 

Forse abbandonando l’affezione alla marca e concentrandosi più sul prodotto?

 

Lei è uno scrittore e insegna alla Holden La letteratura può recuperare il ruolo di testimone del presente, anche nella comunicazione commerciale?

Mi pare che la risposta vada scissa. La letteratura, cioè, non credo che debba recuperare un ruolo di testimone del presente, perché a mio avviso ce l’ha ancora e l’ha sempre avuto. La letteratura è semplicemente una lente attraverso cui osservare uno scampolo di realtà. Che sia una realtà riconoscibile o fantastica fa in fin dei conti poca differenza: come dicevo prima, è un modo per andare, attraverso una finzione, alla ricerca di qualcosa che è più vero del vero. Non sono però convinto che, almeno in questo senso, ci sia un rapporto così stretto tra la letteratura e la comunicazione commerciale. Credo che possano entrambe avere un ruolo di testimone del presente, per usare la stessa espressione, ma sono codici talmente diversi che faccio fatica a sovrapporli.

 

Narrare, raccontare, affabulare hanno un significato diverso nella comunicazione, soprattutto considerando i media in cui possono essere impiegati, ma soprattutto vanno tenuti presenti i fruitori dei media e la sempre più bassa capacità critica.  Quale etica si deve o si può abbracciare prima di fare comunicazione pubblicitaria?

In ogni campo su cui mi sono affacciato, di fronte alle lamentele sul continuo alleggerimento dei suoi contenuti, ho sempre sbattuto la testa contro un eterno battibecco: chi dice che si propone ciò che la gente vuole e chi dice che invece è ciò che abbiamo insegnato alla gente a volere. Io non mi voglio arrogare il diritto di dire se una posizione è in assoluto più giusta dell’altra: sono però convinto che la prima delle due sia più pigra.

 

La normativa europea (AI Act) difende il copywrite ed è già disponibile il codice delle buone pratiche. Molti musicisti si stanno ribellando ad AI, ma non si sono ancora sentiti scrittori mettersi contro AI.  Quale è la sua posizione?

È un tema molto complesso, di cui ho letto parecchio in questo paio di anni, e che sta però evolvendo a una impressionante velocità: per quanto ne leggi, in sostanza, sei sempre un po’ indietro. Molto difficile quindi provare a scioglierlo qui, in poche righe, e soprattutto in questo primitivo tempo storico. Per provare però a riassumere enormemente, sono tra coloro che trovano molto probabile che l’essere umano finisca per perdere in molti campi, e forse piuttosto presto, la cima della piramide. Credo anche dunque, se questo dovesse accadere, che verrà altrettanto presto il momento in cui gli esseri umani si dovranno fare delle domande molto profonde riguardo al loro effettivo ruolo su questo pianeta, a partire probabilmente dai loro singoli domini di riferimento. In questo senso, e ricordando che è un’enorme semplificazione, se nella musica o nella letteratura dovessimo scoprire di produrre opere meno interessanti delle macchine (chiamiamole così, per semplicità, e per amore del cinema), be’, forse è arrivato il momento di tirare le tende. Questo ovviamente non significa che non si debba provare a porre delle regole. Innanzi tutto però bisognerebbe tutti capire davvero come queste macchine funzionano, il meccanismo matematico che le alimenta. Intendo dire che, da quando mi informo un po’ su questo tema, mi rendo conto che c’è un’eccessiva tendenza all’umanizzazione. I vari domini simbolici sono mezzi di comunicazione – frequenze radio, in un certo senso – tra esseri umani: se continueremo a trovare questo rilevante, e verrà protetto, le ingerenze esterne saranno probabilmente piuttosto inefficaci.

 

Pietro Grossi è uno dei relatori a Creativity4Better.

Andrea Demodena

Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.