Come trasformare l’Italia in un paese da imitare

L’ecommerce in Italia non si arresta con ben 19,3 miliardi di euro come previsione a fine 2016 e un trend del 17%. Questi sono i dati condivisi nel corso dell’ultimo simposio dell’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm Politecnico di Milano. Numeri positivi ma che, contestualizzati con gli altri paesi europei, ci vedono ancora lontani in termini d’incidenza del fatturato online rispetto al totale business: il 5% delle aziende italiane contro il 13,6%. I pro- blemi sono i soliti: l’ecosistema digitale poco sviluppato, il contesto legale e fiscale scarsamente incentivante, la cultura digitale del paese Italia che ancora deve affrancarsi totalmente. Sono però una persona che vede sempre il bicchiere mezzo pieno e quindi credo che non sia tanto l’incidenza sul fatturato online sul totale il parametro significativo, quanto l’impatto del digitale sulle vendite offline, argomento determinante per un’azienda al fine di capire se la direzione intrapresa è corretta, e ancora più in Italia, dove il contatto, il rapporto umano, la territorialità favoriscono spesso la conclusione dell’ordine offline seppur partito dalla navigazione online. E la one customer view regna o dovrebbe regnare sovrana, ma quando ascolto le aziende che parlano del “sistema” di crm che lanceranno dopo l’attivazione dell’ecommerce mi rendo conto che è qui il vero problema.

Il vero nodo da sciogliere è conoscere il cliente, è capire quanto la possibilità di raccontare il prodotto in dettaglio online crei quel senso di branding che porterà prima o poi all’acquisto. Noi aziende dovremmo investire in nuove modalità d’ideazione dei siti dove la creazione di wishlist o lo sharing con gli amici sui social possano essere spinti in modo ancora più importante.
Se poi scatta il click che porta il prodotto nel carrello ancora meglio, ma se già ottenessimo un like, una condivisione o un’aggiunta alla wishlist potremmo ritenerci soddisfatti, perché, come avviene nei negozi, i venditori virtuali, a suon di tecnologia, potrebbero sollecitare la conclusione dell’acquisto. E quindi poi cosa importa se in store o online? L’importante sarà la soddisfazione del cliente, l’acquisto effettuato e il cammino di fidelizzazione iniziato.
E quindi, tornando a noi, perché attribuire la lentezza dell’ecommerce solo a parametri del sistema Italia quando le aziende per prime non vogliono approfondire il ruolo dell’esperienza online e di conseguenza non misurano in modo reale la lifetime value del cliente?
Risolto questo tema e con una volontà chiara di soddisfare il cliente in ogni luogo reale e digitale, forse finalmente capiremo che l’Italia non è poi così lontana dall’Europa e magari inizieremo a essere un paese da imitare, com’è giusto che sia.

Monica Gagliardi