Customer lifetime value da maneggiare con cura

Federico Rocco08/01/2019

Il customer lifetime value (clv) è una metrica che sempre più aziende utilizzano in quanto, giustamente, è trasversale alla catena del valore e misura, in definiva, il valore del cliente considerando l’insieme del suo ciclo di relazione con l’azienda: secondo gli ultimi dati disponibili risulta che il 23% delle aziende italiane si avvale di questa metrica per misurare la fedeltà del consumatore (ricerca dell’Università di Parma, Osservatorio Fedeltà 2018). Essendo il clv peculiare al tipo di industry, ai processi aziendali e anche alla usp (unique selling proposition) del prodotto/servizio, ne consegue che alcune aziende, partendo da una base comune, sono impegnate a trovare o ad affinare il proprio modello di calcolo, mentre altre sembrano essere meno fiduciose nella loro capacità di farlo. Effettivamente gli input ai calcoli clv e l’entità del loro peso possono produrre stime radicalmente diverse del clv stesso, con il rischio che non si riesca a descrivere abbastanza bene i propri clienti. In alcuni casi, i punteggi clv potrebbero riflettere solo una prospettiva ristretta del cliente, mentre nel peggiore dei casi i punteggi potrebbero essere progettati in modo così scadente da risultare effettivamente inutili.

Le aziende devono riconoscere che il clv parla della relazione unica dell’azienda con un cliente. Per questo motivo, il clv non è una metrica statica e può essere incredibilmente dannoso per le aziende trattarlo come tale, soprattutto se non capiscono che loro stesse hanno la capacità d’influenzarlo. In particolare, i clienti che sono considerati di valore inferiore oggi, possono diventare clienti di valore superiore domani se una società è disposta ad agire. Per esempio, l’esperienza del cliente, la personalizzazione e i valori del marchio possono avere un impatto significativo su clv.

Le aziende, pertanto, sono in parte responsabili di quanto valga ogni relazione con il cliente e, quando investono nelle relazioni con i clienti, è probabile che i punteggi clv migliorino, almeno per alcuni sottogruppi. D’altra parte, se le aziende trascurano i clienti con punteggi clv più bassi, è abbastanza probabile che incoraggeranno ancor più i punteggi di quei clienti a diminuire. Si può dire che l’uso da parte delle aziende dei punteggi clv ha il potenziale per essere autoavverante.
Le aziende non dovrebbero ricompensare semplicemente i clienti con clv elevati, facendo tutto il possibile per massimizzare i clv di tutti i clienti con cui stabiliscono rapporti, per evitare di mettere a repentaglio la massima qualità della customer experience complessiva, concentrandosi troppo su un numero limitato di clienti o segmenti di clienti. In ultimo, un pericolo finale associato ai punteggi clv è che i clienti con un seguito significativo su piattaforme di social media come Facebook, Instagram e Twitter potrebbero non avere sempre punteggi clv elevati. Anche se questo non significa che le aziende debbano fare di tutto per placare gli influencer, è necessario che considerino il calcolo del valore del cliente complicato e multidimensionale nell’era dei social media.

Federico Rocco