Il product placement aiuta a raccontare la marca

“Un Vodka Martini agitato, non mescolato” è una frase emblematica di come un marchio possa per sempre essere associato al personaggio di un film (Casino Royale), diventando un’icona di stile, di coraggio, di scelte decise. È anche un esempio lampante di product placement, un modo alternativo di pubblicizzare il brand sempre più utilizzato nel mondo e in Italia, dove, nonostante un’assenza di dati ufficiali, si parla di crescita a doppia cifra.

A livello globale in 5 anni, dal 2012 al 2017 il product placement è quasi raddoppiato, da 8,1 miliardi di dollari a 15,7, crescendo molto più delle sponsorizzazioni, che sono comunque passate da 51 a 63 miliardi, con un aumento del 23%. E si prevede che raggiungerà i 18 miliardi nel 2018 (dati Ieg – Pq Media). Come ricorda Giovanni Palazzi, presidente di Stageup, il product placement nel nostro paese nasce ufficialmente con il film “Totò al giro d’Italia”, ma per molti anni è stato uno strumento utilizzato in modo sporadico, anche per difficoltà di tipo legale (“La legge vieta qualsiasi camuffamento di un messaggio pubblicitario sotto sembianze diverse…”, affermava la sentenza n. 5450 del 19/6/2003 del Tar del Lazio). Dal 2004 però qualcosa è cambiato per effetto di una serie di disposizioni normative (dal decreto Urbani fino al decreto legislativo n. 44/2010), e in Italia il product placement è raddoppiato in 5 anni (dal 2012 al 2017), come si diceva, mentre nello stesso periodo le sponsorizzazioni sono cresciute del 15% (Stageup). Perché il product placement ha avuto questa crescita? Soprattutto perché funziona: per affermare la conoscenza di un brand, per le infinite possibilità di far vedere, raccontare, valorizzare i benefit, per associare il brand a celebrity prestigiose e amate. In sintesi, aiuta i comunicatori a raccontare l’esperienza del prodotto, sempre più necessaria. Genera un ricordo abbastanza persistente, anche se richiede una certa costanza per capitalizzarne i benefici: mediamente un brand comunicato in questa maniera viene ricordato spontaneamente dal 10 al 12% di coloro che seguono il programma, con punte superiori al 30%, sollecitando le categorie di prodotto. Il placement è anche ben accetto dai consumatori: il 44% degli italiani ha un atteggiamento favorevole alla presenza dei marchi nei programmi televisivi, solo il 6% è contrario. Infine, sostiene la value proposition del marchio: più della metà della popolazione è disponibile a pagare di più un prodotto attivo in sponsorizzazione. Lo hanno ben capito marchi come Regina, Acqua Lete, Tim, Intesa Sanpaolo che sempre più entrano nei programmi.

Quindi il product placement va preso seriamente in considerazione, perché aggiunge brand awareness anche presso pubblici lontani, aiuta a sviluppare il mito della marca e la sua brand equity, consente la narrazione dei benefici specifici ed emozionali e agevola il buzz. Inoltre, non si possono trascurare le grandi opportunità che offre per generare loyalty, sia attraverso programmi specifici sia in combinazione con le celebrity proprie del programma.

Andrea Alemanno