La riduzione del churn rate resta una sfida prioritaria

Marco Ieva22/09/2014

*Osservatorio Fedeltà Università di Parma

Ridurre il fenomeno dell’abbandono del cliente (definito anche come customer churn) è una sfida sempre più difficile. Una sfida che è maggiormente complessa in mercati maturi in cui la competizione di prezzo è più elevata, ma che non risparmia nemmeno mercati emergenti o in crescita. Un recente studio di Bain & Co, in collaborazione con Kantar Worldpanel, ha analizzato il comportamento di 40.000 famiglie di 373 città in Cina su un periodo di due anni, studiando diverse categorie, tra cui biscotti, softdrink, birra, prodotti per l’igiene personale e per l’igiene della casa. La ricerca ha mostrato che, su quasi tutte le categorie, una quota che varia tra 40 e l’80% del totale dei consumatori dei 5 top brand per categoria era formata in realtà da nuovi clienti e gli shopper con alta frequenza di acquisto compravano molti brand competitor nella stessa categoria. Questo significa che, per esempio, il 45% dei consumatori cinesi che utilizzano per la prima volta lo shampoo Head & Shoulders di P&G non ricomprano il prodotto nel secondo anno. Questo alto tasso di customer churn implica l’esigenza di acquisire nuovi clienti allo scopo di mantenere costante il numero totale della clientela e sottolinea chiaramente il bisogno di sviluppare politiche di retention e di sviluppo della share of wallet.

Non solo i brand o i retailer del largo consumo devono fronteggiare l’abbandono dei loro clienti. Per i settori contrattuali dove il servizio venduto è regolato da contratti tra cliente e impresa di durata variabile, come quello bancario, la telefonia o la pay-tv, la percentuale di customer churn (churn rate) è tendenzialmente inferiore. Per esempio, nel settore delle telecomunicazioni il churn rate varia dal 10 al 25% in Europa (Tefficient 2013). Tuttavia, la riduzione del churn rate dei clienti è uno dei principali obiettivi di marketing in questi mercati, dato che riconquistare un cliente che ha concluso la relazione con l’azienda comporta costi e tempistiche elevati. Si possono distinguere due tipologie di comportamento di acquisto del consumatore, legate al bene o servizio acquistato: lost-for-good, un cliente maggiormente propenso a sviluppare relazioni di lungo periodo con il venditore del servizio, con costi più o meno elevati nel cambiare venditore e una situazione tipica di settori contrattuali; always-a-share, un cliente che compra prodotti e servizi da diverse marche e retailer che competono per aumentare la share of wallet di cliente (il largo consumo è un tipico esempio di questo scenario).

Per gestire e contrastare l’abbandono dei clienti esistono, come è noto, due approcci: uno di massa, basato su investimenti pubblicitari e qualità del prodotto, e l’altro mirato, che si basa sull’identificazione dei clienti con elevate probabilità di “lasciare” l’azienda. L’approccio mirato può poi essere reattivo o proattivo. L’approccio reattivo è una prassi presente in molti mercati (per esempio, telefonia, pay-tv): al cliente che rescinde il contratto con l’azienda viene offerto un incentivo (omaggi, promozioni, servizi aggiuntivi) per non cambiare gestore o ritornare presso il precedente provider se il cambio è già stato effettuato. L’approccio proattivo, abbastanza diffuso come strategia di marketing intelligence, consiste nel prevedere, con dei modelli statistici, se il cliente ha intenzione, nel prossimo mese o anno, di chiudere, in modo parziale o totale, la sua relazione con l’azienda; una volta identificati i clienti maggiormente a rischio di passare ai competitor, vengono attuate delle azioni preventive di retention. Questo tipo di approccio presenta numerosi vantaggi: il costo degli incentivi offerti è più basso, perché il cliente non ha ancora espresso la volontà di cambiare il provider del servizio/prodotto; si evita una mera negoziazione di prezzo con il cliente; si fidelizza maggiormente il cliente con un’azione che viene percepita come un beneficio offerto e non come un tentativo di “acquisto della sua fedeltà”.

Inoltre, l’approccio proattivo fornisce informazioni su tutta una serie di variabili che possono influenzare la decisione del cliente rispetto al cessare o mantenere la relazione con l’azienda, fornendo quindi utili insight ai marketing manager per migliorare la qualità del servizio o prodotto. Tuttavia, realizzare un modello statistico con l’obiettivo di ottenere una performance di previsione soddisfacente richiede un’ampia disponibilità di informazioni. Inoltre, costruire un team inter-funzionale con professionisti del marketing, della statistica e dell’it può rivelarsi un processo lungo e, a volte, costoso. Questa è una delle ragioni per le quali istituzioni accademiche o società di consulenza sono spesso coinvolte

Alcuni studi accademici condotti in Europa hanno sviluppato modelli di previsione su diversi settori. Una ricerca effettuata sul database clienti di un retailer worldwide del settore del largo consumo ha avuto lo scopo di prevedere quali clienti con elevata fedeltà comportamentale (i clienti migliori) erano a rischio di cambiare il loro pattern di acquisto diventando meno fedeli. Da questa ricerca emergono alcuni indicazioni: le classiche variabili rfm (tempo dall’ultimo acquisto, frequenza di acquisto e ammontare della spesa) sono predittori molto importanti della fedeltà della clientela; la lunghezza della relazione (lor) con il cliente e la restituzione di bottiglie vuote sono importanti indicatori della fedeltà comportamentale; l’incompletezza dei dati personali forniti dal cliente può essere un indicatore significativo di scarsa fedeltà; l’acquisto della marca privata del retailer e il numero delle categorie in cui si fanno acquisti non risultano essere importanti variabili per predire l’abbandono del cliente.

Inoltre, ulteriori ricerche accademiche, svolte nel settore della pay-tv, tipicamente contrattuale, hanno dimostrato che la somministrazione di un questionario di soddisfazione della clientela funziona come strumento di retention. Infatti, la mera misurazione della soddisfazione del cliente farebbe scaturire un processo soggettivo di autovalutazione del servizio, che nel caso in cui risulta di buona qualità arriva a generare un ritorno positivo. Questo effetto, nello studio in oggetto, è risultato essere di efficacia pari o superiore al regalo al cliente consitsente in biglietti per il cinema o per la partecipazione a un evento speciale.

Con la crescente diffusione di open source data (dati disponibili gratuitamente da terze parti), sistemi di registrazione del comportamento del cliente on line e sui social media e in generale la diffusione del paradigma dei big data, le possibilità per ampliare l’utilizzo di modelli di retention di tipo reattivo o proattivo aumentano significativamente. McKinsey, in collaborazione con un’azienda di telefonia, ha promosso l’implementazione di un sistema di speech analytics. Le chiamate telefoniche che vengono ricevute dal customer service dell’azienda vengono analizzate in tempo reale. L’output dell’analisi consiste nel fornire suggerimenti, sempre in tempo reale, allo staff del customer service sulle azioni da intraprendere. Per esempio, se il sistema rileva un tono di voce più alto di una certa soglia emersa dall’analisi suggerisce all’operatore di passare la chiamata direttamente al suo responsabile. Se il sistema rileva la menzione, da parte del cliente, di determinate parole chiave (tra cui nomi dei competitor), suggerisce all’operatore di proporre al cliente un’offerta di lungo termine che si è rivelata efficace in precedenti simili situazioni. Questo sistema ha consentito all’azienda di ridurre il churn rate della clientela del 5% e i costi del call center del 10%.

La nuova disponibilità di dati sull’interazione del cliente con i social, con i volantini on line, con le app di brand e retailer e con gli strumenti di promozione on line non di prezzo aprono una serie di nuovi orizzonti: nuove variabili in grado di predire il comportamento di acquisto dei clienti rispetto alla visita nel punto di vendita, adesione alla promozione e soprattutto interruzione della relazione con l’azienda, aumentando quindi l’efficacia dei modelli di previsione; nuove possibilità per i brand nell’implementazione di strategie di previsione dell’abbandono del cliente; sviluppo di un ranking d’importanza dei predittori del customer churn, in grado di evidenziare il ruolo dei nuovi strumenti digital rispetto alle variabili tradizionali nella previsione.

Includere variabili che descrivono il comportamento on line dei clienti nei modelli di previsione del loro abbandono può rappresentare un potenziale moltiplicatore del patrimonio di conoscenza accumulato negli anni con i programmi fedeltà. L’integrazione tra il mondo digital e i dati di carta loyalty rappresenta un’opportunità da sfruttare, sia per intraprendere azioni tattiche sia per ottenere insight di marketing.

 

 

 

Marco Ieva

È ricercatore di Marketing all'Università di Parma, dove insegna Customer relationship management and customer analytics e svolge attività di ricerca scientifica sui temi dell'omnichannel customer experience, del loyalty management, del retailing e della marketing innovation. Dal 2012 è senior researcher dell’Osservatorio Fedeltà dell'Università di Parma, nel cui ambito collabora su progetti di ricerca, analisi dei dati e formazione sul tema della fidelizzazione della clientela. www.osservatoriofedelta.it