Piattaforme online, più vendite a scapito della brand reputation

Le piattaforme di ecommerce hanno rivoluzionato completamente le abitudini di consumo delle persone. In pochi anni sono caduti i tabù degli acquisti online e si è arrivati al concetto di omnicanalità, che porta l’esperienza del consumatore dal punto di vendita brick and mortar all’ecommerce, e viceversa, facendogli risparmiare denaro, ma soprattutto tempo. Una rivoluzione che ha generato servizi talmente valoriali per il consumatore da orientarne fortemente le scelte di acquisto.

Amazon, in primis, ha definito standard altissimi (e spesso ineguagliabili per player minori), con consegne garantite in 24/48 ore e un’attenta assistenza post vendita; un nuovo paradigma nel mondo della loyalty, senza punti e premi, ma solo costante soddisfazione delle aspettative a 360 gradi. Prima del boom dell’ecommerce, il retail deteneva il potere principale, sia nella definizione di posizionamento della marca nel punto di vendita (pricing, scaffale, promozioni ecc.) sia nella relazione con il consumatore e, ovviamente, nella loyalty. Così, molti brand “mediati” hanno sviluppato una rete di punti di vendita diretti, in franchising, shop in shop, corner ecc., utilizzati come strumenti di conoscenza diretta dei propri clienti attraverso programmi di loyalty proprietari, fatti di card, cataloghi premi o piani sconto. Il boom dello shopping online ha spinto le marche a prendere accordi con player distributivi di nuova generazione come Amazon, Ebay e Alibaba, ricercando quelle quote di mercato perse nel retail fisico e replicandone il modello “intermediato”.

Parallelamente hanno concorso ad accrescere l’appeal di queste piattaforme, grazie alla loro presenza nei cataloghi, sinonimo di qualità e prestigio. Ma questa corsa al digitale non è stata indolore: lo schiacciamento dei margini di profitto e la nuova forma di disintermediazione del rapporto brand-utente hanno indebolito la brand reputation, soprattutto per l’impossibilità di sviluppare politiche di loyalty 1to1 nonostante il canale digitale a disposizione. Alcune aziende hanno pertanto deciso di abbandonare Amazon, molte altre hanno iniziato timidamente ad aprire canali ecommerce proprietari: ma come convincere il consumatore a comprare un prodotto sull’ecommerce del brand, magari a un prezzo leggermente più alto rispetto a quello offerto su Amazon e probabilmente con una delivery superiore? La storia c’insegna che quando il prezzo non può competere, bisogna agire sul fronte della strategia di loyalty, che dovrà coinvolgere il consumatore in tutte le fasi della relazione.

Nel caso dell’online, l’integrazione dei touch point digitali del brand, dal website agli strumenti social, fino all’adozione di tag traccianti, permettono di traghettare l’utente verso un atto di acquisto personale, all’interno di un modello basato sul “value for action”. Servono integrazione digitale, business intelligence e machine learning applicata a dinamiche di loyalty e vendita online; e servirebbero formazione manageriale e predisposizione al cambiamento. Così alla fine la domanda è sempre la stessa: quante aziende sono realmente pronte?

Fulvio Furbatto