Punti di contatto tra subscription e programmi fedeltà premium

Sulla scia di Netflix, Spotify, Apple e Amazon si moltiplicano, anche grazie alla diffusione dell’ecommerce e ai progressi nei sistemi di pagamento e di billing ricorrente, nuove forme di abbonamento che offrono servizi e forniture di prodotti ai sottoscrittori, generando fedeltà e retention alla stregua dei programmi fedeltà a pagamento

Vi ricordate il lattaio che passava con l’Apecar a lasciare il latte tutti i giorni? È stata la nostra prima esperienza di subscription: calda, semplice, umana. Poi c’è stato “Il club del libro”, indubbiamente conveniente, ma abbinato a un serpeggiante timore di rimanere imprigionati in un meccanismo incalzante, ricevendo anche libri non rilevanti per i nostri interessi, di un’azienda lontana e sconosciuta che avrebbe potuto ignorare per sempre i nostri tentativi di rescindere l’abbonamento.

Le subscription, ovvero i servizi di fornitura di un bene in abbonamento, oggi sono di moda, ma non si tratta di un modello di business nuovo: i primi sono stati, nell’800, gli abbonamenti ai quotidiani e al telefono. Una storia lunga e una natura ambivalente. Da un lato alla nostra mente razionale appare evidente il vantaggio economico che fornisce il modello, dall’altro i timori della “gabbia” e del “lungo periodo” suscitano emozioni negative che ci frenano, intrecciate come sono con l’esperienza di quegli abbonamenti che siamo obbligati ad avere: luce, acqua, gas. Inconsapevolmente, è anche probabile che associamo un po’ gli abbonamenti alle tasse.

Tuttavia negli ultimi anni, grazie alla diffusione dell’ecommerce e ai progressi nei sistemi di pagamento e di billing ricorrente, i servizi in abbonamento stanno conoscendo una crescita notevole. La società di consulenza Roland Berger stima che l’85% degli europei abbia almeno una subscription, mentre un europeo su quattro ne ha attive sei o più. I settori che trainano il fenomeno sono le telecomunicazioni, le utility e le assicurazioni, dove il modello è consolidato. Più recente e in crescita il mondo dei media e dell’entertainment, dove il fenomeno Netflix sta ridisegnando le regole del gioco. Complessivamente il valore del mondo delle subscription b2c in Europa è stimato in 350 miliardi di euro (dati 2017). I giganti digitali Netflix, Spotify, Apple e Amazon sono i casi più studiati, anche per la capacità di personalizzazione basata sui dati di cliente. Ma anche aziende b2b come Caterpillar, Ge e Thales hanno adottato modelli simili. Negli Stati Uniti si calcola che le subscription driven company crescano in media cinque volte più velocemente rispetto alle società dell’indice S&P 500. E si calcola che il 18% di tutti i pagamenti a livello mondiale appartenga al tipo ricorrente (The Paypers, 2019).

All’inizio del 2019 Disney ha terminato l’accordo con Netflix per lo streaming dei propri contenuti, per lanciare il proprio servizio in abbonamento Disney+. L’ultima arrivata nell’arena delle subscription è Nike, che ha lanciato in agosto il servizio di abbonamento alle scarpe per bambini.

I genitori dei bambini membri del Nike Adventure Club scelgono scarpe nuove quando le precedenti sono diventate strette, o quando cambiano i gusti. Si può affittare un certo numero di scarpe all’anno, la consegna e i resi sono gratuiti e se il modello piace, si può tenere. I clienti possono anche rispedire le scarpe usate per farle smaltire in modo ecologico. Nike ha in programma di estendere il servizio all’abbigliamento da donna.

Proviamo allora a classificare le diverse forme di subscription, partendo dal modello di business: bisogna innanzitutto distinguere se l’abbonamento è l’unico canale con il quale l’azienda opera oppure se rappresenta un’opzione affiancata ad altre modalità distributive (punto di vendita, vendita diretta, online o altro) senza abbonamento. Molte start up operano esclusivamente in abbonamento: in un numero precedente di Promotion Magazine abbiamo raccontato la storia di Stitch Fix, che invia a domicilio capi di abbigliamento adatti ai gusti di ciascun iscritto, mentre altre sono sorte nel mercato dei prodotti di bellezza e per la cura della persona, come il famoso Dollar Shave Club per la rasatura maschile.

Per tante aziende, il servizio in abbonamento è invece un nuovo canale che si affianca al modello di distribuzione consolidato. Solo per rimanere nell’ambito dei beni di largo consumo citiamo Procter & Gamble, che ha lanciato Gillette on Demand, Sephora propone Play! e Walmart Beauty Box.

Seguendo le categorie individuate da McKinsey, possiamo classificare le subscription in base alla natura del bene/servizio fornito e al vantaggio per il cliente, individuandone tre tipologie: replenishment, curation e access. Le subscription di replenishment rendono automatico il riordino di beni di base a bassa differenziazione, come i pannolini o i rasoi usa e getta.

Le curation subscription mirano invece a sorprendere e gratificare il cliente, fornendo prodotti nuovi o esperienze ad alto livello di personalizzazione, tagliate sulle preferenze del cliente, in settori che vanno dall’abbigliamento al beauty, al cibo: negli Stati Uniti, dove il 15% di chi fa acquisti online ha almeno un abbonamento, le curation rappresentano più della metà del mercato delle subscription. Infine, nel caso delle access subscription gli abbonati pagano un canone mensile per pagare prezzi più bassi o ricevere vantaggi riservati solo a loro.

Le subscription promettono di fornire un’infinità di prodotti in tempi rapidissimi, magari con l’aggiunta di personalizzazione.

Citiamo l’interessante caso di United Airlines, che offre ai frequent flyer di acquistare i servizi, quali il bagaglio extra o i posti con maggiore spazio per le gambe, non pagandoli ogni volta, come accade per tutti passeggeri, ma sottoscrivendo un abbonamento annuale: 349 dollari all’anno per i bagagli e 499 dollari per lo spazio in più per le gambe. Cifre alte, ma d’interesse per un viaggiatore frequente che ha anche poco tempo da dedicare alla prenotazione. Quest’ultima categoria di subscription service richiama subito alla mente Amazon Prime che, lanciata nel 2005, ha avuto un ruolo determinante nel rendere popolare l’idea dei servizi online in abbonamento. Oggi Prime conta oltre 100 milioni di iscritti nel mondo che, pagando una fee annuale (di 119 dollari in Usa, diversa in altri paesi, tra cui l’Italia) possono accedere gratuitamente alla consegna (in due ore, un giorno o due giorni) di più di 100 milioni di articoli, allo streaming di migliaia di film e serie tv, a migliaia di libri in formato Kindle, al voice shopping tramite l’assistente virtuale Alexa e altro. Nel 2018 era iscritto a Prime il 51% delle famiglie americane e il 63% del totale degli acquirenti sul sito di Amazon. I membri di Prime sono i migliori clienti di Amazon: con una spesa media annua di 1.400 dollari contro 600 dei “non Prime”. La loro frequenza di acquisto è molto più alta: il 46% dei membri Prime fa un acquisto online alla settimana su Amazon, contro il 13% dei non Prime. Un rapporto di J. P. Morgan stima che il valore complessivo di quanto offerto da Prime si aggiri intorno a 785 dollari l’anno, ovvero oltre sei volte il costo dell’abbonamento (considerando quello applicato in Usa).

Prime, e ancor di più 88 VIP, il nuovo livello di membership lanciato nel 2018 da Alibaba, mostrano come esista un confine molto sottile tra i servizi di subscription online e i programmi fedeltà a pagamento. Di fatto il modello subscription agisce come un meccanismo di lock-in del cliente, determinando un aumento della retention, e in questo senso funziona come un programma fedeltà.

Oggi il ritorno dei programmi fedeltà a pagamento ha fatto parlare gli addetti ai lavori di “premium loyalty”. In questi programmi Il cliente si abbona e/o paga una fee d’ingresso in cambio di vantaggi ad alto valore percepito, di cui può beneficiare immediatamente. Balza all’occhio la differenza con il meccanismo tradizionale dei loyalty program, dove il cliente deve prima compiere una serie di acquisti per ottenere successivamente la ricompensa (si pensi ai programmi dei supermercati). L’aggettivo “premium” inoltre trasferisce bene l’idea che deve trattarsi di qualcosa di qualità o valore eccezionale, per il quale un segmento di clienti (non tutti, si badi) è disposto a pagare. “Premium” richiama bene anche il fatto che sono solo i clienti altospendenti a essere interessati al modello a pagamento. Ciò permette posizionamento, offerte e comunicazione più mirate, perché si tratta di un segmento specifico e piuttosto omogeneo al proprio interno, ma a spese del raggiungimento della massa critica e di economie di scala (almeno per un po’ di tempo). Se l’obiettivo prioritario dell’azienda è reclutare al programma una audience vasta, anche di clienti leggeri o potenziali o dei competitor, e avere un database completo, il modello della premium loyalty non va bene.

Potrà essere aggiunto in seguito, una volta raggiunto l’obiettivo, per curare il rapporto con i clienti migliori. A patto, però, di avere qualcosa veramente di valore da offrire. Altrimenti, con la stessa facilità one-click con cui si sono iscritti, i clienti abbandoneranno.

TRE MOTIVI CHE PREMIANO LE SUBCRIPTION

La crescita degli abbonamenti si lega alla convergenza di tre grandi cambiamenti dei consumatori, in atto già da tempo. Gli individui danno più valore all’accesso e alla comodità, rispetto alla proprietà: per i giovani possedere cd o dvd o addirittura l’automobile non riveste alcun interesse, diversamente dalle generazioni precedenti. L’accesso temporaneo a un bene o servizio, consentito dalla membership, è preferibile rispetto alla ownership. Già nel 2001 Jeremy Rifkin, nel saggio The Age of Access, aveva descritto questo cambiamento, che s’intreccia con la sensibilità per l’economia circolare e con i valori della sostenibilità. Si aggiunga il fatto che il web e lo smartphone ci hanno abituati ad avere tutto a portata di mano sempre, ovunque, e soprattutto subito: le giovani generazioni si aspettano che qualsiasi cosa sia immediata e on demand. Infine, l’online, dalla search all’advertising, dall’ecommerce ai contenuti, ci ha abituati alla personalizzazione.

ALIBABA SEGUE L’ESEMPIO DI AMAZON PRIME

Nel 2018 Alibaba ha aggiunto al proprio programma fedeltà online, 88 Membership, un nuovo livello chiamato 88 Vip, che assomiglia molto ad Amazon Prime. Si tratta di un servizio in abbonamento che a fronte del pagamento di una fee di 888 yuan (circa 128 dollari) permette l’accesso gratuito alle piattaforme di video streaming e music streaming di Alibaba, nonché di ottenere prezzi scontati per la food delivery e una riduzione permanente del 5% nel supermercato online e sui siti di ecommerce di Alibaba Taobao e Tmall. Si stima che il valore dei servizi offerti raggiunga ogni anno il doppio del costo dell’abbonamento. È previsto un meccanismo per incentivare le sottoscrizioni al servizio: i consumatori che fanno parte del programma fedeltà base di Alibaba, se raggiungono un livello minimo di acquisti e interazione con le piattaforme online dell’azienda, possono fare un upgrade al livello Vip per una cifra simbolica di 88 yuan, invece che 888.

Cristina Ziliani

È professore ordinario di Marketing all'Università di Parma, dove insegna Loyalty marketing e Customer relationship management. Dal 1999 è responsabile dell’Osservatorio Fedeltà dell'Università di Parma. È autrice di oltre 60 articoli scientifici e 5 libri sui temi del loyalty marketing e data driven marketing. Nel 2020 ha pubblicato con il collega Marco Ieva, per l'editore internazionale Routledge "Loyalty Management: from Loyalty Programs to Omnichannel Customer Experiences". www.osservatoriofedelta.it