Soluzioni ancora insufficienti per l’analisi dei big data

Le buzzword che ci accompagneranno nei prossimi mesi sono certamente big data, business intelligence e platform revolution. In realtà ne sentiamo parlare e ne scriviamo da un po’, ma in questi ultimi mesi sono diventate incredibilmente pervasive. Il tema è sempre più caldo perché il volume di big data raccolti cresce con un tasso annuo del 34%. Il data deluge, un fiume in piena di informazioni, trova ostacolo nella scarsa capacità delle aziende d’integrare, analizzare e utilizzare i dati. Sebbene dai risultati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano (“Big data analysis e business intelligence 2015”) emerga che il 44% delle aziende italiane svolge delle attività di analytics, in quasi nessuna organizzazione esiste un sistema di gestione del big data journey. In questa fase le aziende promuovono per lo più progetti pilota in dipartimenti specifici, dove il maggiore interesse si concentra nell’area marketing e vendite.

Applicare la business intelligence in ambito marketing significa comprendere che i dati hanno ormai un valore unitario altissimo. La platform revolution, ovvero la corsa a dotarsi di piattaforme in grado di processare i big data, testimonia che anche i paradigmi della loyalty stanno cambiando: sarà sempre più digitale e multicanale, in accordo con il rinnovato profilo del consumatore moderno. La mappatura del comportamento degli utenti e il trattamento analitico dei dati raccolti permette di ottenere cluster ipersegmentati per promuovere azioni 1to1 in tempo reale e agevolare la relazione brand-utente. Questo avviene primariamente nell’ambito del fast moving consumer goods dove, attraverso processi di marketing automation, vengono inviate comunicazioni di supporto (boosting) per incentivare alcuni tipi di comportamento volti all’acquisto ripetuto e trasversale tra le referenze. Ma è soprattutto nel settore slow moving che l’attenzione si fa sempre più alta: qui troviamo banche e assicurazioni in prima linea, interessate a utilizzare sistemi di machine learning che autoapprendono sulla base della propensione dei clienti a relazionarsi con il brand e con i suoi touchpoint. La mappatura permette di restituire stimoli mirati per migliorare l’esperienza dell’utente, arricchendo il profilo del singolo cliente nel tempo.

All’interno di quelle (poche) aziende che stanno attuando processi di big data analytics, solo il 19% dei manager ritiene che le soluzioni di analisi forniscano un supporto efficace alle proprie necessità, mentre il 40% pensa che siano appena sufficienti. Una risposta così negativa getta luce sulla necessità di colmare un gap tecnologico che sempre più impedisce alle aziende italiane di entrare a pieno titolo nell’era digitale: mancano le tecnologie e le professionalità. Per questo motivo stanno proliferando startup di system integration, con personale altamente specializzato in grado aiutare le aziende a gestire le informazioni provenienti dai loro touchpoint e suggerire strategie utili per monetizzarle. Dal fronte delle aziende, i data scientist diventeranno figure sempre più centrali all’interno delle imprese che sapranno cogliere la sfida. E anche questa, in fondo, è già diventata una nuova buzzword.

Fulvio Furbatto