Engagement e brand loyalty non possono proprio convivere?

Quanto è importante per un brand la fedeltà dei propri consumatori? Un vecchio adagio del marketing ci dice che costa molto di più attrarre un nuovo acquirente che mantenerne uno che già compra e utilizza il proprio prodotto o servizio. E questa è stata una verità mai messa in dubbio, anche perché la logica è inattaccabile: dopo tutta la fatica che hai fatto per conquistare, sedurre, convertire (una volta o l’altra dovremmo analizzare come il linguaggio del marketing oscilla tra metafore militari, romantiche e religiose) un consumatore, e ci sei finalmente riuscito, dovresti almeno sopportare un minimo sforzo nella retention. Da qui la cresciuta importanza di questa fase nell’allocazione delle risorse nella customer journey.

Ma recentemente questi assunti, ritenuti poco meno che dogmi, sono stati attaccati. Per esempio, Byron Sharp, direttore del Bass Ehrenberg Institute (una delle autorità mondiali negli studi di marketing), nel suo dibattutissimo libro “How brands grow”, ha sostenuto che non esistono brand caratterizzati da alta fedeltà, pur in presenza di basse quote di mercato, ma che la prima è sempre, in qualche modo, funzione della dimensione della seconda. In sostanza, più consumatori hai, maggiore è la quota di loyal user. Ha ovviamente cercato di dimostrare la sua tesi con profusione di dati, non risparmiando nemmeno gli esempi più citati di fedeltà alla marca, come Apple, che non sfuggirebbe alla regola.

Secondo Sharp, il successo di un brand si gioca quindi sul “ventre molle” dei light user e non sullo zoccolo duro dei fedelissimi. In questi anni il mondo del marketing si è spaccato su questo tema, dividendosi in sharpisti e loyalisti. In questa sede non abbiamo tempo e modo per entrare nel vivo del dibattito, ma registriamo comunque qualche aspetto controverso del concetto di brand loyalty. Per esempio, in un mercato in cui i programmi fedeltà si sono moltiplicati a dismisura, come quello della gdo, l’iscrizione a uno di essi e il possesso di una card quanto sono segnali di fedeltà? Cosa stiamo premiando esattamente, se un consumatore può scegliere per le offerte migliori e andare in multishopping come nel tempo precedente alle card? Sembra più promiscuità, che fedeltà assoluta.

Ed è notizia recente che Sainsbury’s sta modificando il programma Nectar sulla base della longevità del rapporto piuttosto che sugli acquisti.

Oppure, ci si può domandare se lavorare sulla brand loyalty debba essere completamente separato dalle attività di new user generation. Recentemente ho notato in un bar alcuni biglietti promozionali di una marca di food home delivery che prometteva uno sconto di 5 euro sul primo acquisto ai nuovi utenti e mi chiedevo se fosse proprio impossibile premiare contestualmente un “vecchio” utente o se le due cose, classicamente, dovessero essere messe sempre in contraddizione.

Insomma, in un mondo in cui le scelte per i consumatori si moltiplicano, e la concorrenza è più alta che mai, la fedeltà assoluta merita di essere considerata, e studiata, attraverso diverse facce.

Andrea Fontanot