Nuovi paradigmi per recuperare l’attenzione

La pandemia ha modificato il pensiero collettivo sviandolo da ciò che prima si riteneva prioritario e importante, reindirizzando l’attenzione selettiva e i processi di scelta inconsci anche nel campo dei consumi e del marketing 

La situazione che vive il mondo intero è tragica e incide sui comportamenti e sulla psicologia degli individui in molteplici modi. Serviranno anni e anni di studio per comprendere il fenomeno e le sue implicazioni di lungo periodo. L’attenzione di tutti si rivolge agli aspetti scientifici della virologia, a quelli economici dell’enorme distorsione spazio-temporale di consumi e investimenti, nonché ai tratti politici legati alla gestione delle diverse emergenze di una catastrofe inattesa. Certo, la produzione di beni e servizi sotto il vincolo del Covid-19 è il tema essenziale dello sforzo analitico in atto.

Io, però, vorrei, per una volta, dedicarmi a un concetto che potrà apparire bizzarro: ovvero la “produzione psichica”, cioè l’entità e l’orientamento dei flussi di pensiero che scaturiscono dalle menti di miliardi di individui che popolano la terra. Ogni ora i nostri cervelli consumano 140 megawatt per attivare, come ci ha insegnato Vincenzo Russo nel primo convegno sull’”economia dell’attenzione” organizzato da Promotion lo scorso settembre, processi in gran parte inconsci. Solo piccola parte di quest’energia è dedicata ai processi razionali che, in qualche modo, si cumulano in una sorta di capitale, costituito dalle culture di popolazioni e civiltà diverse. Forse più dei calcoli micragnosi sul pil sarebbe dunque propedeutico sapere quali archetipi junghiani ha risvegliato la pandemia.

I processi percettivi, cognitivi e mnestici sono la premessa dell’arte del vendere

Come e perché le idee si cristallizzino in nuovo sapere artistico, scientifico o tecnologico, ma anche in memi distopici o semplicemente nel buon senso che guida le nostre vicende quotidiane, non è affatto chiaro. Perché una certa idea matura e si diffonde prima di altre e non viceversa? Perché un abito, una pettinatura, un’estetica affascinano i contemporanei per poi apparire ridicole e bizzarre ai posteri? Le risposte sono tante e spesso contradditorie.

In genere si ritiene che l’attenzione e gli interessi collettivi scaturiscano dall’ambiente materiale e spirituale di un’epoca, per poi intrecciarsi alla casualità. Senza gli elementi endopsichici dell’euforica riconquista di Granada, che pervadevano la Spagna espansionista di Isabella e Ferdinando, Colombo non sarebbe partito. E se egli, ingannato dall’allora errata geodetica circa la distanza tra la Spagna e le Indie fiabesche, non avesse trovato a metà strada le Americhe, la nostra storia sarebbe risultata affatto diversa. Senza la satanica capacità di Adolf Hitler di risvegliare nella psiche germanica l’Ombra (junghiana) dell’altro, il diverso, il nemico, l’osceno, il grottesco… l’Ebreo, il mondo non sarebbe stato quel che fu e quel che è. E via dicendo.

La pandemia ha senza dubbio deformato, inquinato il pensiero collettivo sviandolo da ciò che prima si riteneva prioritario e importante. Ha generato introiezioni e proiezioni, sillogismi ed entimemi, convincimenti e incertezze. In breve, ha reindirizzato l’attenzione selettiva dedicata ai fatti della vita. In ogni campo. Anche in quello più specifico e modesto dei consumi e del marketing, che a noi interessano particolarmente. L’energia psichica degli umani si è concentrata su nuovi aspetti della vita quotidiana, trascurandone altri. Per esempio, la clausura forzata ha fatto perdere interesse per le auto e per il fashion. In Italia, ma anche in Europa, l’attenzione si è concentrata piuttosto sull’alimentazione e la salute, richiamando, su piani metafisici, uno stuolo di gastronomi e di virologi neofiti. Lo smart working e la dad hanno alimentato un bisogno senza precedenti di elettronica di consumo e di servizi di comunicazione e così, per l’effetto spillover, hanno inciso anche su attitudini e comportamenti della vita sociale.

Insomma, l’allocazione dell’attenzione individuale e collettiva è mutata e, nel nostro caso, a risentirne sono state le prassi commerciali, sia above sia below the line. Anni e anni di dotti convegni dedicati a shopping experience, in store communication, guerrilla marketing, shop windowing art, digital signage e visual merchandising sono stati vanificati dalla prolungata desertificazione pandemica. Probabilmente tutto si è svolto troppo in fretta e chi avrebbe dovuto creare nuove più efficienti soluzioni alternative per captare l’interesse di un grande pubblico è mancato all’appello. Migliaia di aziende, ansiose di catturare clienti al di fuori dei canali tradizionali, non hanno valutato la drammatica scarsità del fattore che condiziona ogni atto di vendita: l’attenzione del cliente, appunto. Molti siti dell’ecommerce sono apparsi desolantemente noiosi e soprattutto time consuming.

Molte aziende non hanno valutato il tedio e i tempi di ricerca e di riempimento del carrello virtuale tramite computer o smartphone

Fatte le debite eccezioni, pochi hanno valutato il tedio e i tempi di ricerca e di riempimento del carrello virtuale con la tastiera di un computer o (peggio ancora) di uno smartphone. Insomma, la sociologia applicata al marketing, che dovrebbe ispirare il lavoro di tanti programmatori dei siti, non sembra aver dedicato interesse alle distorsioni indotte dalla situazione attuale nei processi percettivi, cognitivi e mnestici, che sono la premessa dell’arte del vendere. Nondimeno, oltrepassando il presente, il mondo riemergerà dalle ondate emotive che si susseguono e imporrà una revisione di molti concetti dati per acquisiti. Costringerà a rifocalizzare ex novo l’attenzione e il pensiero collettivi su punti di comunicazione e di promozione molto più spettacolari: attrattori e latori di messaggi cogenti percepibili in a “blink of an eye”. Per esempio, i volantini, gli house organ della gdo di fatto sono già stati uccisi dalla pratica obbligata di frequentare i siti (peraltro noiosissimi) di ecommerce. Tra mediocrità e genialità, abbiamo anche visto imporsi il ruolo delle community e degli influencer che giudicano e stigmatizzano ogni disattenzione, indirizzano la clientela, propongono, informano su ogni aspetto delle scelte di acquisto. Media caldi, media freddi, anche McLuhan farebbe fatica a raccapezzarsi nel rimescolamento dell’imminente epoca post Covid-19, che promette spunti di grande interesse per chi voglia ritenersi curioso e creativo.

 

Daniele Tirelli