Servono nuovi parametri per misurare la competitività

La complessità del processo di mercato non può essere affrontata con le famigerate curve della domanda e dell’offerta, governate in astratto da un prezzo mai definito nella sua essenza, ma tramite analisi concrete.

Prendendola alla lontana, potremmo dire che esiste un vizio di fondo nella comprensione dei meccanismi concorrenziali della distribuzione moderna dei prodotti di largo consumo. Questo limite evidente va ascritto agli insegnamenti di politica economica che sono parte della formazione universitaria di imprenditori e manager della nostra business community. Lo schema concettuale che ispira i ragionamenti più comuni si basa su una rappresentazione semplificata di questo particolare sistema economico, in cui dovrebbero esistere semplicemente i produttori e “il” consumatore, senza l’esistenza di una intermediazione che governi le logiche dello scambio merce- moneta. In campo economico, gli approfondimenti teorici sono sempre legati a nuove criticità della profittabilità del gioco giocato.

Ma, diciamolo francamente, la distribuzione grocery, negli scorsi decenni e nel suo insieme, non è stata afflitta da veri e grandi problemi strutturali. I vantaggi offerti dalla modernità distributiva e dalla sostituzione del commercio tradizionale desueto hanno dato spazio a tutti, a chi più a chi meno. Fu solo con il clamoroso e colossale fallimento di Auchan e la crisi degli ipermercati che si cominciò ad avvertire che qualcosa si stava rompendo, e che la “disruptive erosion” dei discount non era un segnale fugace. Insomma, emerse un malessere che le analisi del nostro Cx Store hanno documentato sin dal 2019. Quindi, riprendendo il filo, non stupisce che le insegne della distribuzione interpretino il meccanismo della concorrenza facendo riferimento essenzialmente ai prezzi e ai prezzi scontati. Culturalmente e inconsciamente il management è schiavo della menzionata semplificazione dell’economia neoclassica, che tratta tutto con le famigerate curve della domanda e dell’offerta, governate in astratto da un prezzo mai definito nella sua essenza; tant’è che ancora trovano ascolto certe goffe, ridicole ricerche che ipotizzano una “reductio ad unum”, cioè a un “prezzo aggregato”, una quantificazione della “convenienza di prezzo” dell’una o dell’altra insegna.

La realtà è ben diversa. I produttori, le industrie non offrono nulla ai consumatori. Sono le insegne dei supermercati a gestire l’offerta assemblando tante merci in assortimenti eterogenei e inconfrontabili. Ma i retailer non governano un prezzo che fa incontrare domanda e offerta. Il quadro è complesso e possiamo schematizzarlo così: primo, un supermercato è legato a un luogo fisico, per cui la concorrenza che subisce dipende da chi si trova o s’insedierà in quel luogo; secondo, la domanda che può raccogliere non tende all’infinito in base al prezzo com’è descritto dalle curve dei nostri manuali, perché la popolazione che vi gravita attorno è quasi fissa; terzo, la domanda espressa dalla popolazione non è né omogenea in termini di prodotti, marche e formati, né costante (e dunque neppure aggregabile); quarto, l’offerta è indipendente dai prezzi (fissi per definizione) e, dal punto di vista di un supermercato, può tendere all’infinito; quinto, la domanda “aggregata” in termini monetari è determinata da un insieme probabilistico composto da un numero incommensurabile di decisioni dettate da motivazioni diverse, di cui quelle legate razionalmente ed esclusivamente al prezzo delle merci sono poche tra le tante.

La logica competitiva, cioè, va interpretata secondo nuovi parametri, tali da orientarci nella enorme complessità del processo di mercato, parametri facilmente comprensibili partendo dai semplici esempi che seguono. Prendiamo due insegne (che chiameremo Alfa e Beta) che convivono nello stesso luogo e dunque condividono un certo parco di famiglie-clienti potenziali (i dati utilizzati sono veri e si riferiscono a 3 province della Toscana). Ciascuna insegna attrae in modo più o meno continuativo e “robusto” una data percentuale della popolazione che chiameremo “parco clienti”, tenendo conto che il 64% dei clienti è condiviso. Alfa è frequentata dall’84% della popolazione, ma con opinioni differenti: il 45% della popolazione vi trova il miglior rapporto qualità prezzo, il 17% la frequenta nonostante ravvisi in Beta il miglior rapporto q/p, il rimanente 22% è soddisfatto di altre insegne, ma la frequenta per altre giustificate ragioni (l’emergenza, la vicinanza, le promozioni ecc.). Analogamente frequenta Beta il 73% della popolazione: il 22% vi trova il miglior q/p; il 31% lo trova in Alfa e il rimanente 20% lo riconosce in altre insegne ancora. In breve, Beta svolge principalmente un ruolo ausiliario, di servizio; non può vantare un’eccellenza ampiamente riconosciuta dai suoi clienti e di conseguenza deve accettare una loro minor fedeltà.

Ne consegue che possiamo definire un “coefficiente di attrazione reciproca” (Car) delle due insegne rapportando i clienti che frequentano un’insegna, ma ravvisano nell’altra il miglior q/p. Per Alfa sarà quindi 31%/17%= 1,82, mentre per Beta sarà 17%/31%= 0,55. Cosa potremmo ipotizzare, allora, in uno scenario dinamico, di cambiamento dei rapporti di forza? Un’ipotesi è che Alfa probabilmente sottrarrà business a Beta poiché, pur condividendo un 64% di famiglie residenti, esse acquisteranno più frequentemente in Alfa e l’entità dei loro scontrini aumenterà a scapito di Beta.

Sarebbe poi facile provare che un elevato riconoscimento del miglior q/p si correla (spesso più che proporzionalmente) alle quote di mercato in termini di fatturato. Tuttavia, la storia è solo all’inizio. Infatti, la capacità attrattiva di un’insegna sprigiona da tanti molteplici fattori, che a loro volta dipendono dal ruolo svolto dai vari reparti che contribuiscono al risultato complessivo (senza dimenticare numerosi altri fattori intangibili legati ai tanti servizi resi). È superfluo ripetere che il confronto concorrenziale si sviluppa tra organizzazioni altamente complesse e che banalizzarlo con un improbabile concetto di convenienza complessiva, confonde e non aiuta. Introduciamo allora, allo scopo, un elemento ulteriore e chiarificatore: confrontiamo le performance dei singoli reparti e nel nostro caso, per brevità, quello della gastronomia di Alfa e di Beta. Con un calcolo analogo al precedente possiamo evidenziare le percentuali di soddisfazione per il q/p di quello specifico reparto. In questo caso il dato che ne emerge è apprezzabilmente inferiore a quello totale, così come quelli delle reciproche attrattività. Concludiamo che, sebbene Alfa sia in grado di appagare un terzo dei propri clienti con il reparto gastronomico, la reputation culinaria di altre insegne, oltre a Beta, è decisamente maggiore del dato complessivo di Alfa.

Esistono, pertanto, aree di miglioramento sia per Alfa sia per Beta, che andranno esplorate, ovviamente, con le informazioni ancor più dettagliate collegate al Cx Store e con gli specifici approfondimenti ad hoc previsti dal nostro programma di ricerca. Dunque, alla crescente complessità delle scelte della clientela (messa in evidenza dalla letteratura più avanzata) corrisponde una complessità competitiva da affrontare con nuove strategie analitiche.