I paleontologi non sono tutti in accordo sulle date, ma circa due milioni e passa anni fa sono cominciate le grandi migrazioni di popoli. I primi migranti si muovevano spinti da ragioni legate alla sopravvivenza, andando verso un ignoto totale e senza nessun possibile aiuto giacché è solo da 5.000 anni, secolo più secolo meno, che si è imparato l’orientamento usando la posizione delle stelle, ma bisogna aspettare i primi secoli d.C. per beneficiare dell’invenzione e la diffusione dell’astrolabio, mentre il sestante, indispensabile alla navigazione, è arrivato molti secoli dopo.
L’ignoto antico aveva una dimensione geografica e tangibile.
Per chi vuole provare l’ansia dell’incognita e del dubbio sulla direzione da prendere c’è l’Anabasi di Senofonte. Anche l’Anabasi di Alessandro Magno redatta da Arriano non è meno tormentata, in quel clima di incertezza continua per l’esito di battaglie e il dover percorrere territori immensi e lontani. C’è stato un ignoto rinascimentale, quello dei grandi viaggi di scoperta di nuove terre e passaggi navigabili (Colombo, Vasco da Gama e altri in gara per conquistare nuove ricchezze). Si può considerare anche un ignoto ottocentesco “alla Livingstone”, ma ormai a quel tempo le spedizioni erano già ben organizzate e attrezzate. Il mito dantesco di Ulisse e il suo “folle volo” passa da una dimensione terrena dell’ignoto, che richiede si travalichino le Colonne d’Ercole, a una prospettiva che apre a una tensione trascendentale verso il sapere.
A noi che folle volo resta da fare? Non certo quello del turismo spaziale estremamente inquinante tanto quanto inutile (fa il paio con quelli che fanno “l’avventuroso safari” in Africa e si fanno fotografare accanto al leone massacrato). Non si creda che l’ignoto sia il campo degli scienziati, poiché la ricerca è estremamente finalizzata e focalizzata, si sa cosa si vuole scoprire e oggi si dispone di tutto quel che serve per svelare, spiegare, trovare. Allora, è ancora possibile pensare all’ignoto? A una dimensione che ci possa avvincere, spaventare, stimolare. Penso a tutto questo mentre constato che anche per la breve tratta casa-supermercato in auto molti si affidano “in automatico” a gps, TomTom e affini.
Entrati nei punti di vendita sono accolti da una strategia che ha cancellato l’horror vacui. Non un centimetro di superficie lasciato vuoto. Scaffali pieni secondo il principio del “trionfo delle merci” e così si vedono cloni all’infinito per ogni categoria di prodotto (provate a contare le varianti di mozzarella: intera, a treccia, in perle, affettata per assecondare la moda del “servizio”, di bufala, di latte caprino, vaccino, vegetale, da 100 gr e multipli, delle più diverse marche). È questo l’ignoto svelato dal marketing? Ciò che non c’era prima è da considerarsi ignoto? Ça va sans dire che non ci si reca al supermercato per dissertare di metafisica, ma quando si è immersi in un mondo d’infinite repliche che intorpidiscono i sensi (e gravano sulla salute del pianeta), pensare all’ignoto fa bene.
Andrea Demodena
Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.