La distribuzione moderna in acque agitate sperimenta riflussi di marea

I radicali cambiamenti degli ultimi anni hanno provocato accelerazioni e trasformazioni nella distribuzione moderna tuttora in balia di correnti ondivaghe che influenzano la scelta delle migliori strategie da adottare nel tentativo del miglior assetto tra experience e convenienza.

Se dovessi rappresentare il settore della distribuzione come un elemento della natura, lo identificherei con il mare. Connotato da profondità abissali imperscrutabili, come la complessità della logistica che lo alimenta, ma anche da bassi fondali trasparenti, come i suoi scaffali e le vetrine attraenti, eppure soggetto ogni giorno a correnti e maree in grado di alterarne la fisionomia. Proprio come il mare, anche la moderna distribuzione è in un perenne movimento, alimentata tanto da forze al suo interno quanto da quelle esogene, che pure ne condizionano nel tempo gli andamenti.

Ricordiamo l’evoluzione, dal dettaglio tradizionale ai department store e alle grandi superfici di prodotti di largo consumo. L’avvento degli ipermercati che promettevano di trovare tutto sotto lo stesso tetto e quello degli specializzati che, invece, si posizionavano come “category killer”. Lo spauracchio dei discount, partiti dalla Germania e in grado di conquistarsi una fetta di mercato in tutti i paesi in cui sono sbarcati. E, allora, per contrastare il successo dei leader di prezzo, ecco che i concorrenti nel comparto del largo consumo hanno cercato di posizionarsi nell’area della qualità o dell’esperienza, con un sempre maggior peso del fresco, mentre in parallelo aumentava la presenza della ristorazione prima nelle gallerie commerciali e poi nei grandi magazzini, nelle librerie e in altri formati. Per non parlare, infine, dell’avvento dell’ecommerce anch’esso in continua evoluzione e con un sempre maggior numero di punti di contatto con il canale brick & mortar là dove si cerca di realizzare un approccio multicanale.

La discontinuità degli ultimi due anni e mezzo ha messo in crisi i sistemi di previsione delle tendenze di breve/medio termine

Così, nella primavera dello scorso anno, nel corso di una testimonianza presso un grande gruppo distributivo, magnificavo l’abilità di molte catene internazionali – operanti non solo nel comparto alimentare – nell’avere intrapreso da anni un percorso virtuoso di evoluzione verso la multicanalità prima e l’omnicanalità poi, che ha consentito loro di affrontare l’emergenza sanitaria dettata dal Covid con la strategia, le strutture e gli strumenti più adeguati. Invece, solo dodici mesi dopo, la situazione è cambiata in modo radicale. Intanto perché la pandemia, più o meno sotto controllo in Occidente, in Cina continua a provocare ripercussioni di natura economica, sotto forma di rallentamento della produzione industriale e del trasporto merci, i cui effetti si fanno sentire ovunque. Come se non bastasse, l’aumento dei prezzi di una serie di commodity e di beni di prima necessità ha subìto un ulteriore impulso dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Proprio per fronteggiare l’inaffidabilità della supply chain e anticipare il lievitare dei prezzi, molte aziende si sono stoccate di prodotti un po’ di ogni genere, con ingenti investimenti di denaro e pochi strumenti a disposizione per prevedere le reazioni del pubblico nel breve/ medio termine.

Stiamo assistendo all’inversione di tendenza di molte direttrici di crescita scelte in passato dai protagonisti della distribuzione

Nei risultati trimestrali di molte insegne, per esempio, è possibile leggere aumenti delle giacenze di magazzino superiori al 30% rispetto al medesimo periodo dello scorso anno. Così come si stanno facendo sentire anche gli effetti sul mercato del lavoro, dove in tanti hanno rivisto le proprie priorità, portando al fenomeno della great resignation e al protrarsi dello smart working. Non stupiscono allora tanto i costi in crescita per trattenere il personale quanto un’offerta di lavoro che non tiene dietro alla domanda, sia nel settore del retail sia in quello della ristorazione. Per non parlare dei trasporti. Appare allora evidente che le molteplici discontinuità createsi nel corso degli ultimi due anni e mezzo abbiano messo in crisi anche i più sofisticati sistemi informativi, che non sono spesso in grado di supportare le imprese distributive nella previsione delle tendenze di breve/ medio termine. Perché non ci sono algoritmi e intelligenza artificiale che tengano quando vengono alimentati da serie storiche “impazzite”.

Una situazione particolare e tutta da monitorare è quella delle startup operanti nel segmento del quick commerce

Così, proprio come accade per le maree, stiamo assistendo all’inversione di tendenza di molte direttrici di crescita scelte in passato dai vecchi, così come dai nuovi protagonisti della distribuzione, grocery e non. Un primo indizio l’aveva fornito la presentazione dei risultati trimestrali da parte di Amazon, caratterizzati da un tasso di crescita “modesto” per il leader dell’ecommerce e addirittura un risultato del conto economico in perdita che non si ricordava dall’ormai lontano 2015. Da qui la revisione completa delle scelte compiute nel corso degli ultimi anni per quanto riguarda il retail fisico, che ha salvato solo i nuovi Amazon Style e i vari formati di supermercati testati nel tempo.

Sul fronte della logistica, invece, da una parte il colosso dell’ecommerce cerca di affittare a terze parti alcuni dei centri di distribuzione realizzati nel corso della pandemia per soddisfare l’improvvisa impennata della domanda e ora in buona parte inutilizzati. Mentre dall’altra, per garantire la capillarità delle consegne anche nelle aree meno popolose, dove non è remunerativa, ricorre ad accordi con piccoli imprenditori locali che fungono da punto di raccolta e distribuzione. Una soluzione già testata in passato in paesi come l’India, dove il dettaglio tradizionale ha una presenza estremamente capillare nel territorio. Inoltre, sono in corso dei test per associare i padroncini dei mezzi di trasporto che già rappresentano un efficace canale di consegna diretto ad alcuni centri commerciali dove sono ospitati i punti di vendita fisici dei merchant che vendono anche attraverso il marketplace di Amazon, da utilizzare ora come centri di confezionamento.

Imprese come Walmart e Target o gruppi distributivi come Kroger stanno a loro volta affrontando la situazione di petto, benché con scelte parzialmente diverse. Walmart, infatti, punta sull’automatizzazione spinta dei centri di distribuzione, che verrà completata entro dieci anni e solo di recente ha rivalutato il ruolo dei suoi superstore per il confezionamento degli ordini. Target, al contrario, ha fatto la scelta di fondo di consegnare da punto di vendita fin da principio, puntando sul valore della maggior vicinanza alla clientela. Mentre Kroger si affida all’esperienza di Ocado, maturata nel retail inglese ed esportata poi in tutto il mondo, per rendere il più efficiente possibile il suo ecommerce attraverso la robotica presente nei customer fulfillment center.

Intanto in Gran Bretagna, dove la crisi pandemica ha accentuato le criticità per i player in molti formati, accanto al fenomeno dei negozi sfitti e di quelli riconvertiti a edilizia abitativa o uso ufficio, si registrano il cambio di proprietà di due insegne di primo piano come Asda e Morrisons, flessioni di fatturato e utili per molti dei top player e una guerra dei prezzi come non se ne vedevano da parecchio tempo, con Aldi e Lidl a dettare le regole del gioco. Una situazione particolare e tutta da monitorare è poi quella delle startup operanti nel segmento del quick commerce, attraverso la presenza capillare sul territorio dei loro dark store – soprattutto nelle grandi metropoli – e la promessa di consegne entro 10/20 minuti. Sono infatti nate a decine durante la pandemia, per soddisfare una domanda di spesa urgente dell’ultim’ora e si sono sviluppate spesso molto rapidamente, concentrandosi sulle aree dal tipico stile di vita metropolitano di Europa e Nord America. Luoghi presidiati quasi sempre da una distribuzione capillare di convenience store e negozi di vicinato a conduzione famigliare dei quali, di fatto, si trovano ora a subire la concorrenza, dopo che la fase più critica dell’emergenza sanitaria è alle spalle e la gente ha ricominciato a frequentare i luoghi pubblici, negozi compresi.

Non sorprende allora che Getir stia tagliando il 14% del personale, Zapp il 10%, mentre Gorillas rinuncerà a 300 dipendenti, tra il quartier generale di Berlino e i quattro paesi – Italia compresa – da cui pare abbia deciso di ritirarsi. Nel frattempo, Jiffy abbandona il modello business to consumer, per focalizzarsi nella vendita del know-how e della sua piattaforma a marche e insegne che desiderano consegnare in modo tempestivo. Intanto Gopuff, per superare le criticità, dopo aver lanciato la marca privata ora offre anche piatti pronti fast food cucinati nelle sue dark kitchen. Un bollettino che rappresenta forse la risposta al quesito che molti si ponevano a proposito della sostenibilità economica di un modello che difficilmente avrebbe potuto avvalersi di forti economie di scala, interessando delle nicchie di mercato orientate ad acquistare quel genere di servizio solo nel momento in cui non c’erano alternative e l’inflazione non erodeva ancora il potere d’acquisto, rendendo meno conveniente la spesa online.

In conclusione, le imprese distributive dopo il 2019 sono state scosse a livello mondiale da una serie di tempeste dissimili tra loro e dalle conseguenze differenti, adattandosi alle condizioni di mercato con grande velocità, come si confà a società che offrono servizi al pubblico finale, di cui sondare necessità e umori in tempo reale, quando non è possibile ricorrere ad algoritmi e intelligenza artificiale. Alla pressione sui negozi fisici, per motivi di sicurezza sanitaria, ha fatto da contraltare l’impennata del ricorso all’ecommerce, che ha messo a dura prova la capacità produttiva del canale, tarata su un livello di domanda più basso. Come è stato scritto da più parti, in pochi mesi nel 2020 si è compiuta un’evoluzione che altrimenti avrebbe richiesto quattro o anche cinque anni. Se non fosse accaduto altro, avremmo assistito a un periodo di consolidamento delle nuove abitudini da una parte e a un graduale ritorno alle vecchie dall’altra. Invece, lo scenario che è andato delineandosi nel corso del 2022 sposta di nuovo l’attenzione dall’experience alla convenienza, accentuando la crisi di alcuni formati e il successo di altri, così che le fasi della marea, per una volta, tornano ad alternarsi.

Filippo Genzini

Ho sempre lavorato nel settore dei servizi innovativi di marketing per le aziende del largo consumo e - in particolare - del retail, sia sul fronte della marketing intelligence sia su quello della comunicazione, con una focalizzazione sull’approccio customer centric. Hobby prediletti: la scrittura e la musica. genzini@admirabilia.it www.ilcommissariozarotti.com