Il crm è un insieme di soluzioni informatiche che non fanno altro che tracciare i pagamenti e le azioni di acquisto per proporre in modalità push offerte speciali (che stimolano un’adesione opportunistica che offusca i brand). Di relazione nemmeno l’ombra, nonostante la sigla customer relationship management. L’azienda rimane più interessata al registratore di cassa e al tracciamento delle transazioni economiche, mentre i comportamenti psicologici che generano commenti sui social, il sempiterno wom e altre azioni che indicano l’impegno del consumatore nel gratificare il brand in modo positivo vengono raramente considerati e, quando lo sono, questo avviene separatamente dal crm e senza avviare una vera relazione.
I touchpoint sono quasi tutti a una via e il customer care è spesso a gestione separata, talvolta pure esternalizzata Alle carenze del crm ha cominciato a supplire il ckm (customer knowledge management) dove il focus è sulla conoscenza che presuppone la veicolazione attraverso forme di relazione. Il ckm opera in tre aree: la conoscenza per i clienti (per abilitarli a conoscere davvero l’azienda, i brand, i prodotti/servizi), la conoscenza sui clienti (che porterà all’azienda informazioni per progettare meglio prodotti e servizi nonché iniziative che soddisfino le persone in toto, riconoscendo le loro aspirazioni e rispettando i loro valori), la conoscenza dai clienti (prendendo in considerazione l’apporto che sono in grado di fornire, traendo ispirazione dalle loro esperienze e suggerimenti).
Su questa specifica fase della conoscenza, che implica da parte dell’azienda effettiva apertura e capacità di ascoltare e accogliere il consumatore, si innesta il cim (customer involvement management). Sperimentato nel mondo del lusso e improntato alla necessità di dare un ruolo di protagonismo al cliente, il cim può essere messo a disposizione di qualunque azienda che effettivamente voglia non semplicemente orientarsi al cliente, ma includerlo nella vita dell’azienda.
Il focus è sull’involvement, una forma di coinvolgimento non solo emotivo (che implica affettività e attaccamento al brand), ma soprattutto razionale poiché prodotti, processi, soluzioni (che riguardano, fra l’altro, la comunicazione, le vendite, l’impatto sociale e ambientale, le riparazioni, lo smaltimento del prodotto ecc.) sono finalizzati alla completa immedesimazione del cliente con l’ideologia del brand. Questo si alimenta attraverso l’apporto dei propri clienti, una community che sperimenta un attaccamento assoluto, una perfetta integrazione con gli elementi identificativi e valoriali dell’azienda. L’origine del cim risale agli anni ’50 e alla formalizzazione delle teorie del total quality, in cui il cliente guidava i processi.
Oggi si pone con uno spirito di sperimentazione continua: i clienti attraverso app e siti web dedicati si possono impegnare nel co-design di prodotti tanto quanto in attività di dimostrazione del loro uso, di proselitismo per il brand coinvolgendo le proprie relazioni personali.