La journey controllability migliora la loyalty

La ricerca CX Store 2025 segnala che il 52% delle famiglie dichiara di essere cliente da 1 a 4 insegne e il 48% addirittura da 5 a 7. Si può ancora parlare di fedeltà, considerando che anche nel discount si assiste a un fenomeno analogo? Ben il 73,5% delle famiglie ne frequenta infatti almeno due. Ormai la tendenza a essere clienti di più catene contemporaneamente (gdo, drugstore, petstore, casalinghi, bazar ecc.) è irreversibile.

Per le più diverse ragioni, guidate sia dalla ricerca di convenienza sia da curiosità o da costante voglia di stimoli innovativi, le persone girovagano fra online e offline, fra formati e canali diversi, aderiscono a numerosi programmi di loyalty, accumulano una quantità di punti che poi dimenticano di redimere. Con il crm e con il martech (l’insieme delle soluzioni digitali per tracciare i clienti e automatizzare l’analisi dei dati) non si progredisce di molto: solo una minima percentuale dei clienti ha la carta fedeltà e, per giunta, la metà non dà il consenso al trattamento dei dati. Qui entra in scena quello che Farah Arkadan, nel suo “Customer experience orientation: conceptual model, propositions and research directions” (Journal of the Academy of Marketing Science, 2024), chiama “journey controllability”, un processo per contrastare la “experience turbulence”.

Quanti touchpoint interattivi, vere interfacce con il cliente, le aziende mettono a disposizione lungo tutto il percorso di informazione, acquisto e assistenza post vendita? Come minimizzano o rimuovono gli ostacoli che degenerano in esperienze negative avvalendosi dell’aiuto dei clienti in chiave di co-design? Come coltivano la relazione con il cliente? E quale tipo di relazione? Le aziende dovrebbero fare un esame di coscienza rispondendo sinceramente a queste domande. Gli aspetti di turbolenza che alterano le esperienze e portano la relazione al limite di rottura sono individuabili, analizzabili e modificabili rimuovendone le cause. L’offerta sul mercato è ormai infinita, le preferenze dei consumatori si orientano verso chi offre esperienze gratificanti (nella loro ottica, non in quella del retailer) e va ricordato che le esperienze sensoriali, lifestyle, sociali (dal vivo) e social (sulle relative piattaforme) hanno un ruolo più forte dei richiami cognitivi e puramente razionali (ossia nessuno crede più agli iperbolici prezzi “più bassi del sottocosto”).

Se tutto il journey che ogni cliente fa fosse davvero sotto controllo, i momenti di turbolenza si ridurrebbero al minimo o sparirebbero del tutto e le persone percepirebbero una cura e una generosità nell’impianto delle relazioni che allontanerebbe la voglia di cambiare destinazione per gli acquisti. Anche il programma di loyalty va quindi sottoposto all’esame dalla experience turbulence (per esempio, include le motivazioni che possono spingere a aderire e come le concretizza?) e va controllato tenendo presente che i risultati che porterà ricadranno su tutta l’azienda.

Andrea Demodena

Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.