Il mercato globale dei videogiochi ha toccato i 219 miliardi di dollari nel 2024, in crescita del 5% sull’anno precedente, con previsioni di espansione media annua del 4% fino al 2028. Numeri che confermano la centralità del gaming nell’industria dell’intrattenimento e, al tempo stesso, raccontano una profonda trasformazione in atto.
Come evidenziato dall’ultima edizione del Gaming Report di Bain & Company, il videogioco non è più solo un prodotto, ma è uno spazio di socializzazione, creatività e narrazione, con impatti crescenti sull’economia dei contenuti e sull’intero ecosistema dei media.
A trainare il settore sono soprattutto i più giovani. Per chi ha meno di 18 anni, i videogiochi rappresentano il principale mezzo di intrattenimento, superando tv, streaming e social media. Il report evidenzia una forte polarizzazione: i primi 10 titoli di ciascuna piattaforma generano ormai dal 50 al 60% dei ricavi complessivi. Giochi come “Roblox”, “Fortnite” o “Minecraft” si confermano fenomeni di massa, veri hub digitali in cui si gioca, si socializza e si producono contenuti. Non è un caso che, come osserva Mauro Colopi, partner di Bain & Company, “i videogiochi di oggi non sono più solo intrattenimento: sono spazi di creatività e community. I titoli che sapranno abbracciare questo ruolo guideranno la prossima era del gaming”.
Videogiochi, il boom delle piattaforme e la spinta degli indie
La ricerca segnala la crescita a doppia cifra dei cosiddetti “games as a platform”: mondi aperti, permanenti e personalizzabili che attraggono giocatori e sviluppatori grazie alla possibilità di creare nuovi contenuti. Un modello che sta ridefinendo le regole del settore: mentre i grandi studi AAA (i publisher di videogiochi con budget di produzione elevato) si trovano schiacciati tra costi crescenti e concorrenza più agile, a prosperare sono gli sviluppatori indipendenti: dal 2018 al 2024 i giochi “indie” per pc – quelli, cioè, pubblicati da sviluppatori “indipendenti” dai grandi publisher – hanno registrato un cagr (compound annual growth rate, tasso annuo di crescita composto) del 22%, contro l’8% delle produzioni AAA. Un segnale della democratizzazione dello sviluppo, resa possibile da strumenti sempre più accessibili e dalla distribuzione digitale.
L’ascesa dei contenuti generati dagli utenti
Secondo Bain, l’80% dei gamer ha giocato almeno una volta con livelli, modalità o oggetti creati dagli utenti. Quasi la metà dei creatori dichiara di dedicare oggi più tempo alla produzione di contenuti rispetto all’anno scorso, con un picco tra i più giovani ma una crescita anche degli over 35. Un cambiamento che sta portando valore economico: nel 2024 “Roblox” ha distribuito quasi un miliardo di dollari ai propri creator, mentre “Fortnite” ha superato i 350 milioni. In questo scenario, il confine tra produttore e consumatore è sempre meno netto, a favore di un modello partecipativo.
Monetizzazione e paradossi del settore
Nonostante l’aumento del tempo trascorso a giocare, le spese medie dei consumatori restano stabili: il prezzo di copertina dei titoli “tradizionali” è fermo da vent’anni (60-70 dollari) e, in termini reali, oggi costa il 30-40% in meno di una cartuccia anni ’90. Molti giochi sono free-to-play e basano la sostenibilità economica su una minoranza di utenti disposti a spendere per acquisti in-game.
Crescono anche le pubblicità, soprattutto su mobile: se il 64% dei gamer ritiene che la pubblicità interrompa l’esperienza, il 46% ammette però di aver effettuato acquisti proprio grazie a quelle inserzioni. Un equilibrio che risulta però ancora instabile e che mette a dura prova le strategie degli editori.
Oltre il gioco: universi narrativi e cross-media
Il report dedica un focus anche al valore degli “ip extensions”: film, serie tv, merchandising e community che rafforzano il legame con i brand videoludici. In media un adattamento di successo porta a un +69% di utenti attivi sul gioco originale nei sei mesi successivi al lancio, rispetto agli altri giochi. La serie “Fallout” del 2024 o il film di “Minecraft” sono esempi evidenti. In queste proposte, però, la qualità è decisiva perché i fan premiano le produzioni che rimangono fedeli allo spirito del gioco e penalizzano invece quelle operazioni percepite come opportunistiche.
Una nuova economia dell’engagement
Il quadro delineato da Bain mostra quindi un settore in ridefinizione: gli sviluppatori tradizionali devono fare i conti con i costi crescenti e con un pubblico sempre meno disposto a pagare il prezzo pieno, mentre le piattaforme e gli “indie” capitalizzano su creatività, community e accessibilità. I top manager del settore, sottolinea Colopi, sanno che le regole del gioco sono cambiate: “Oggi gli utenti non vogliono solo giocare, ma contribuire all’esperienza. Chi saprà valorizzare la creatività degli utenti e costruire community autentiche, guiderà l’industria verso la sua prossima era”.