I portatori sani di fedeltà, ossia i consumatori, la conducono con sé in vacanza? In effetti qualche ostacolo a esercitarla pienamente nelle località di villeggiatura c’è. Nelle cittadine di mare, monti, laghi, i dove il 26% dei connazionali (o se preferite un italiano su quattro) possiede 5.739.400 seconde case (dato Confedilizia), lì non sono presenti le stesse insegne della grande distribuzione di cui ci si serve dove si risiede tutto l’anno. Oppure, se lo sono, la gestione in franchising consente una certa autonomia e quindi talvolta niente raccolte punti per riscattare premi dal catalogo.
In pratica durante le vacanze estive e invernali la fedeltà va in pausa nei weekend, o nelle ferie lunghe 2/3 settimane. In compenso per fare la spesa per la seconda casa di proprietà, ma vale anche per le case in affitto, le postazioni nei campeggi, i b&b con cucina e altre soluzioni di accoglienza, i cittadini in trasferta (tanto quanto i turisti stranieri che passano le vacanze in Italia) riscoprono i negozietti, il mercato di strada, la superette, qualche eroico discount in sperdute località e in quelle più frequentate supermercati rifornitissimi. Il che significa che anche l’offerta cambia e, talvolta, fa fare piacevoli scoperte: le eccellenze enogastronomiche locali.
In numeri “solidi” significa che ci sono 15,6 milioni di italiani, proprietari di seconde case, che durante le vacanze abbandonano per un periodo più o meno lungo le abitudini di acquisto urbane, dimenticando le promesse della carta fedeltà e relativi extra gain. Quando sono in ferie non partecipano a raccolte punti, cash-back e altre forme di fidelizzazione comportamentale di medio-lungo periodo, al più si concentrano sulle familiari operazioni di prezzo come sconti, 3×2 che riempiono la dispensa, offerte speciali colte al volo con l’abilità da cherry picker di lungo corso (d’altra parte l’opportunismo lo si impara in città, muovendosi nella giungla dei prezzi e dei formati).
Peccato che questo fenomeno, che riguarda milioni di italiani, seppure temporaneo e concentrato nei canonici periodi di vacanza (incluse settimana bianca, Natale, Pasqua, “ponti” che riescono ad assemblare diversi giorni) non abbia ricerche dedicate che ci possano dire come cambiano le abitudini di acquisto e consumo. Nulla sappiamo del bricolage del villeggiante che si destreggia fra diverse fonti di approvvigionamento e marche locali. Tornerebbe utile conoscere se questi cambiamenti, pur temporanei, abbiano una qualche conseguenza al rientro in città e, ancora, se questa intermittenza fra acquisti in città e in località di vacanza possa produrre degli effetti sulla fedeltà alle marche d’industria non presenti ovunque.
Parimenti nulla sappiamo delle esperienze che fanno i turisti italiani all’estero quando utilizzano case in affitto e in loco si destreggiano per fare la spesa e cucinare. Quali esperienze fanno, cosa trattengono delle abitudini acquisite? Tutti interrogativi per una ricerca che metta a confronto un altro dato: il brevissimo raggio entro cui si muovono le persone per fare la spesa quando sono in città. Il 72% degli italiani è proprietario della casa in cui vive, c’è una residenzialità che comporta un attaccamento al quartiere, richiede negozi di prossimità e una fedeltà subordinata.
Andrea Demodena
Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.

