Accelera la convergenza tra mondo digital e area loyalty

Il patrimonio di esperienze e di ricerca accumulate da oltre trent’anni sul fronte della fidelizzazione è una risorsa cui attingere per impostare scambi di valore sempre più efficaci con clienti disposti a fornire i propri dati a fronte di benefit e reward e giustifica uno spostamento di budget dal digital advertising al programma loyalty.

Il 79% dei consumatori preferirebbe che le marche li bersagliassero meno con pubblicità su Facebook e investissero di più per ricompensarli per la loro fedeltà attraverso i loyalty program. È quanto emerge da una recentissima ricerca di Econsultancy su 5 paesi inclusa l’Italia. In un’unica frase sono citati due mondi che sembrano messi uno contro l’altro, a contendersi le risorse del marketing. Sono i mondi del digital advertising e quello del loyalty management, nati in tempi diversi, su supporti totalmente diversi (si pensi alla carta e alla plastica che ancora in molti casi contraddistinguono i programmi fedeltà), con linguaggi, strumenti e kpi specialistici.

Fino a 10-15 anni fa sembrava che questi due mondi non dovessero parlarsi. Poi è arrivato il consumatore a muoversi con disinvoltura tra fisico e digitale, a volere una journey senza “cuciture” tra le varie property del brand, dal negozio alla pagina Facebook. Il loyalty management ha avuto una prima trasformazione digitale, spostandosi sulle app. Contemporaneamente, con la crescita inesorabile dell’ecommerce e della multicanalità il digital adottava il linguaggio della loyalty, per costruire un profilo unitario del cliente sul quale misurare la retention e il customer lifetime value. Negli ultimi 5 anni i modelli direct to consumer, abilitati dal digitale ma fondati sulle logiche della retention e della insight di cliente per curare proposte ed esperienze personalizzate, sono stati un altro frutto di successo della fertilizzazione tra digital e loyalty. Oggi, nel 2021, questo avvicinamento progressivo tra digital e loyalty subisce un’ulteriore accelerazione, con l’annuncio di Google dell’abbandono dei cookie di terze parti. A marzo David Temkin ha comunicato che Google non avrebbe più supportato i cookie di terze parti né costruito o inserito nei propri prodotti degli identificativi alternativi per tracciare gli individui nei loro movimenti sul web.

I loyalty program forniscono la struttura “permission based” che può accelerare le relazioni brand-cliente e fornire i first e zero party data che servono ai brand

Quali sono le conseguenze? Diventa chiaro che Google supporterà le relazioni brand-cliente basate su first party data, il che indica ai marketer una serie di conseguenze e di azioni da intraprendere: parlare agli individui, non ai cookie; costruire un database first party per trasformare consumatori sconosciuti in clienti e prospect noti; personalizzare tramite dati che hanno l’approvazione dei consumatori; apprendere da tutte le interazioni con gli individui su tutti i canali.

Cosa ha a che fare il loyalty management con tutto questo? Esso ha un ruolo centrale su tutti i fronti elencati sopra, perché il framework della fidelizzazione è il modo più chiaro di strutturare lo scambio di valore che va a premiare i consumatori per i dati che vorranno condividere con noi. I loyalty program forniscono la struttura “permission based”, che può accelerare le relazioni brand-cliente e fornire i first e zero party data che i brand devono avere per garantire rilevanti esperienze mirate. Dati che l’azienda potrà direttamente usare per personalizzare messaggi, contenuti e altro che serviranno a premiare i clienti per l’engagement e per l’approfondimento della relazione con il brand. Il mondo della fidelizzazione ha tanto da insegnare sull’offrire valore al cliente (benefit e reward) in modi che lo inducano a fornire dati e preferenze, garantendo al contempo il loro costante aggiornamento. La letteratura accademica ha evidenziato chiaramente perché funzionano i diversi benefit, reward e meccanismi d’ingaggio.

La psicologia, la sociologia, le scienze cognitive e le neuroscienze sono le solide basi che spiegano come costruire vantaggi che gli individui percepiscano di valore. Gli esempi sono molteplici, dalla teoria dell’identità sociale a quella dello scambio sociale che prevedono il gradimento dei benefici di status, dei programmi fedeltà a livelli, delle classifiche dei badge nella gamification; dalla prospect theory che spiega perché percepiamo diversamente un omaggio rispetto a uno sconto, fino alla teoria del “warm glow”, che ci fa sentire bene quando facciamo qualcosa di buono per gli altri nei programmi fedeltà che proteggono l’ambiente. Vi è un patrimonio di esperienze e di ricerca accumulati da oltre trent’anni sul fronte della loyalty cui attingere per impostare scambi di valore sempre più efficaci con i clienti.

L’avvicinamento progressivo tra digital e loyalty ha subito un’accelerazione con l’annuncio di google dell’abbandono dei cookie di terze parti

Sarà necessario, d’altro canto, uno sforzo per far evolvere la misurazione. Innanzitutto le misure di efficacia dovranno essere a livello d’individuo, non di impression e di reach, e sempre più performance based. Ne discenderanno spostamenti nella ripartizione dei budget di marketing: se si pensa che il canale tramite il quale più consumatori hanno fatto acquisti negli ultimi 12 mesi, sempre secondo Econsultancy, è l’email – uno dei principali di cui l’azienda che ha un programma fedeltà dispone – ecco che uno spostamento di budget dal digital advertising al programma loyalty può essere ulteriormente giustificato.

In questo scenario è molto interessante che alcune categorie di player, tra i quali i retailer, siano ben posizionate, con i loro loyalty database e media proprietari. Tanto che sono oramai consolidati casi di successo come Kroger e Cvs, che si sono organizzati con una vera e propria ad agency interna per monetizzare i propri molteplici media. La stessa gdo italiana, trasformando massicciamente i volantini cartacei in volantini digitali, non ha solo liberato ingenti risorse economiche, ma ha preparato un nuovo potente touchpoint personalizzabile e ricco di dati, che può essere il volano per far evolvere il customer experience management in questo settore dove ancora programma loyalty e digital non sono ben integrati. Da dove partire? Un modo utile è sovrapporre alla mappa della customer journey il programma fedeltà (o il progetto di programma fedeltà, per chi non ne ha già uno) per valutare in quali punti e come esso supporta la customer experience, e come può essere esteso ad abbracciare i touchpoint rilevanti creando in ciascuno quel valore che induca i soggetti a farsi riconoscere entrando così in un trusted, branded environment.

SAVE THE DATE

Il XXI Convegno dell’Osservatorio Fedeltà si terrà in presenza a Parma e online venerdì 15 ottobre 2021 (per aggiornamenti: osservatoriofedelta.it)

Cristina Ziliani

È professore ordinario di Marketing all'Università di Parma, dove insegna Loyalty marketing e Customer relationship management. Dal 1999 è responsabile dell’Osservatorio Fedeltà dell'Università di Parma. È autrice di oltre 60 articoli scientifici e 5 libri sui temi del loyalty marketing e data driven marketing. Nel 2020 ha pubblicato con il collega Marco Ieva, per l'editore internazionale Routledge "Loyalty Management: from Loyalty Programs to Omnichannel Customer Experiences". www.osservatoriofedelta.it