L’engagement aiuta a migliorare anche i modelli predittivi

Marco Ieva27/09/2022

Una volta costruito il tracciamento dei clienti, identificati i comportamenti più rilevanti e stabilite le metriche, l’azienda è in grado di disporre d’informazioni sui comportamenti individuali che consentono di perfezionare le previsioni di redemption o di abbandono. E questo anche nei settori a bassa frequenza d’acquisto.

La possibilità di tracciare i comportamenti dei clienti tra i diversi touchpoint offre alle aziende due grandi opportunità: notevoli alternative utilizzabili per ingaggiare i clienti e diverse fonti informative per monitorare i loro comportamenti, anche quelli non di acquisto. Comportamenti che diventano ancora più importanti nei settori in cui gli acquisti non sono frequenti e possono passare diversi mesi prima che avvenga un atto di riacquisto da parte del cliente oppure una nuova visita in negozio o sul sito web. Ma anche in settori come la telefonia o l’energia in cui, sebbene un contratto formalizzi la relazione tra cliente e azienda, la pressione competitiva e il verificarsi di disservizi possono portare l’utente a cambiare spesso fornitore.

13% è la quota dei manager partecipanti al webinar dell’Osservatorio Fedeltà soddisfatto del grado di engagement dei propri clienti

Questi elementi spiegano il crescente interesse da parte delle aziende nei confronti di tutti quei comportamenti afferenti all’area dell’engagement. Per questo motivo, il 18 maggio il nostro Osservatorio Fedeltà, nell’ambito del programma Academy (Of Academy) lanciato quest’anno, ha affrontato il tema dell’engagement in un webinar che ha visto l’intervento di aziende di diversi settori e un’overview sul significato di engagement e sui risultati della ricerca scientifica su questo tema. Nell’ambito del webinar sono stati svolti alcuni sondaggi in tempo reale ed è emerso che solo il 13% dei manager partecipanti è soddisfatto del grado di engagement dei propri clienti, con il 27% che si dichiara insoddisfatto e il restante 60% che vede aree di miglioramento. Cerchiamo prima di tutto di capire cosa significhi questo termine tanto diffuso in ambito marketing: l’engagement può essere definito come “lo stato mentale che deriva da esperienze di interazione attiva di tipo cognitivo, emotivo o comportamentale con il brand” (Brodie et al. 2011). Al di là della definizione, che ci aiuta comunque a cogliere il ruolo centrale che l’interazione riveste nell’area dell’engagement, si comprende come il cliente abbia un ruolo attivo mettendo in atto comportamenti e azioni che possono essere spontanei oppure avvenire in risposta a certi stimoli.

L’engagement è lo stato mentale che deriva da esperienze di interazione attiva di tipo cognitivo, emotivo o comportamentale con il brand

Per esempio, sono comportamenti che rientrano nell’engagement: rispondere a una survey dell’azienda, partecipare a un contest, lasciare recensioni online, aprire una comunicazione ricevuta via email, commentare sui social, fare login sul sito, magari per consultare il tracking dell’ordine online, o entrare nella mobile app per verificare il saldo punti del programma fedeltà. Non è facile identificare una perfetta nomenclatura dei diversi comportamenti che hanno a che fare con l’engagement, visto che il numero e il tipo di touchpoint, di punti di contatto tra clienti e aziende, aumenta significativamente di anno in anno. E non tutti sono tracciabili, come per esempio il passaparola offline, la lettura di notizie sull’azienda o del volantino promozionale su supporti cartacei, i suggerimenti o l’aiuto dato dai clienti ad altri clienti in negozio nella scelta di un prodotto o per usufruire di un determinato servizio.

Esistono però ovviamente numerose metriche che le aziende possono usare proprio per assegnare un punteggio ai clienti rispetto all’ingaggio con i diversi touchpoint, metriche che quindi possono essere costruite a livello di campagna o a livello individuale di cliente per un tracciamento continuativo nel tempo. Ci sono altre domande che sorgono quando si parla di engagement: i clienti altospendenti sono anche più ingaggiati? Ci sono clienti molto ingaggiati che però hanno una spesa bassa? Per riuscire a dare una risposta esistono diverse metriche come il redemption rate del couponing, delle short collection e dei  programmi fedeltà, l’open rate e il click rate dell’email marketing, la percentuale di completezza delle informazioni condivise con l’azienda, i punteggi delle recensioni, l’engagement rate sui social e le azioni d’ingaggio con i touchpoint digital.

Una volta identificati i comportamenti di engagement più rilevanti e che possono essere tracciati, stabilite le metriche e costruito il tracciamento, l’azienda è in grado di raccogliere dati a livello individuale, che possono essere anche usati con i dovuti accorgimenti per costruire un indicatore sintetico di engagement di cliente, d’aggiornare costantemente. E queste informazioni possono essere usate, sempre a livello individuale, per arricchire le profilazioni delle segmentazioni o anche per migliorare la bontà dei modelli di previsione dell’abbandono del cliente o dell’adesione a una determinata promozione: soprattutto nei settori a bassa frequenza di acquisto questi dati possono essere predittori importanti per anticipare, per esempio, il customer churn. Ovviamente, non è scontato riuscire a tracciare tutti i comportamenti dei clienti tra i vari touchpoint per ottenere “una vista unica di cliente”.

I clienti più ingaggiati con la mobile app o con l’email marketing mostrano un comportamento d’acquisto più elevato

Per esempio, dal sondaggio svolto sui partecipanti al nostro ultimo webinar dell’Academy è emerso che, mentre diverse aziende sono più attente a tracciare i comportamenti degli utenti/clienti con l’email marketing (61%) e con i programmi fedeltà (64%), c’è ancora un rilevante margine di miglioramento nel tracciare a livello individuale le interazioni che i clienti hanno con la mobile app (28%), i social media (37%) e le short collection (37%). E non bisogna dimenticare le difficoltà che alcune aziende hanno a causa di basse percentuali di clienti che rilasciano il consenso sia al contatto di marketing sia alla profilazione.

Generare engagement non ha poi solo un valore in termini di dati e analisi. Diversi studi scientifici hanno riscontrato che i clienti più ingaggiati in termini di numero di accessi con la mobile app o in termini di aperture e click per quanto riguarda l’email marketing mostrano anche un comportamento d’acquisto, quindi spesa media o di frequenza d’acquisto, più elevato rispetto ad altri segmenti di clienti. E questo risultato è robusto anche dopo aver corretto quella che si chiama “self-selection”, ovvero il fatto che certe tipologie di clienti sono più propense di altre a scaricare la mobile app di un’azienda o a leggere le email in virtù della loro pregressa relazione con l’azienda e dei precedenti comportamenti d’acquisto. Ovviamente è importante leggere questi comportamenti sia a livello medio di base clienti sia a livello di singolo segmento, per intercettare variazioni che altrimenti sarebbero annacquate nella media.

Infine, uno dei rischi da evitare è indirizzare troppe comunicazioni al cliente: è importante, in questo senso, considerare la somma di tutte le comunicazioni che il cliente riceve attraverso tutti i vari touchpoint, email, display su social media e sponsorizzate sui motori di ricerca, sms, telemarketing ecc. Se questa somma raggiunge, in un determinato periodo di tempo (un mese o tre mesi, per esempio), valori troppo elevati, si può registrare una relazione negativa tra engagement con i contenuti e comportamento di acquisto. La panoramica quando si parla di engagement è articolata e complessa, ma un dato è certo: benché necessari, non basta avere solo i tool per generare e misurare l’engagement.

Marco Ieva

È ricercatore di Marketing all'Università di Parma, dove insegna Customer relationship management and customer analytics e svolge attività di ricerca scientifica sui temi dell'omnichannel customer experience, del loyalty management, del retailing e della marketing innovation. Dal 2012 è senior researcher dell’Osservatorio Fedeltà dell'Università di Parma, nel cui ambito collabora su progetti di ricerca, analisi dei dati e formazione sul tema della fidelizzazione della clientela. www.osservatoriofedelta.it