Loyalty in famiglia, il fattore tempo

Da quando il marketing si è impossessato del termine loyalty (prima in Usa e poi ovunque) non ci si è preoccupati molto di fare dei distinguo e la parola è stata resa in italiano con “fedeltà”, non sempre un sinonimo adeguato. Esaminando i consumi della famiglia italiana, ci atteniamo comunque alle due macrotipologie di loyalty (attitudinal e behavioral) codificate dal marketing (purtroppo ancora senza le sottigliezze della psicologia dei consumi).

Istat e Censis con le loro ricerche ci rimandano un’immagine della famiglia italiana in evoluzione verso strutture aperte e più piccole in cui si creano, sciolgono e ristabiliscono equilibri e legami fra i componenti. Gli atti di acquisto che avvengono nei nuclei familiari con presenza di figli riguardano necessariamente una grandissima varietà di prodotti e servizi sia di marca d’industria sia di private label sia ancora di meno blasonati produttori. Si moltiplicano e sovrappongono le iniziative promozionali e di loyalty per avvicinare, conquistare e trattenere il più a lungo possibile i vari componenti della famiglia.

Una caratteristica propria delle campagne di loyalty è il fattore tempo che dà luogo, nella concreta realtà, a una dimensione economica – la continuità degli acquisti – e a una dimensione intangibile che potremmo definire come il “contratto psicologico” con la marca, aspetto purtroppo poco studiato quando si tratta proprio di bambini e ragazzi.

La struttura sempre più ridotta della famiglia non consente un passaggio interno di passione per una marca dai figli maggiori ai più piccoli, anche perché i gusti e le mode cambiano ormai con grandissima velocità. Per l’industria di marca, che si rivolge alle fasce più giovani di consumo, il fattore tempo incide sulla loyalty, così anche un solo anno di crescita può comportare radicali cambiamenti. La ripercussione sulle strategie di marketing e sulla scelta del tipo di fidelizzazione è notevole. Spesso viene risolta rinunciando a operazioni di medio/lungo termine a favore invece della creazione di bolle di consumo immediate e limitate a periodi di tempo (spesso in concomitanza con eventi di grande risonanza: sportivi, cinematografici, nella moda ecc.). Nei giovani non si riesce ad andare al di là di una loyalty volatile, di tipo comportamentale, legata all’azione di acquisto, esibizione e condivisione social.

Se da un lato molte marche vengono dismesse dopo l’adolescenza, altre hanno le potenzialità per rimanere permanenti (per esempio food&beverage, elettronica di consumo). Il tipo di loyalty che conta di più per un’azienda è quella di tipo attitudinale (fatta di ragione e sentimento, di profondo legame con i valori della marca), quindi capace di durare nel tempo. Quali sono i driver di questa loyalty profonda? All’azienda si chiede impegno per performance di prodotto superlative, progettazione di esperienze condivisibili sui social, ispirazione e reward significativi che possano innescare un loop in cui i giovani richiamano altri giovani per fare community.

Andrea Demodena

Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.